«Ero pronto a uccidere o morire», ha dichiarato alle autorità George Washington de Oliveira Sousa, 54 anni, gestore di una pompa di benzina. L’attentatore, sostenitore dell’ex presidente Bolsonaro e originario dello stato di Parà, da inizio novembre si era trasferito a Brasilia.

Lì aveva affittato un appartamento, per unirsi ai manifestanti accampati davanti al quartier generale dell’esercito, per chiedere l’annullamento delle elezioni presidenziali.

WASHINGTON ha speso l’equivalente di 28mila euro per comprare l’arsenale che la polizia ha ritrovato in quell’appartamento in affitto: due spingarde, un fucile, due revolver, tre pistole, centinaia di munizioni, uniformi mimetiche e materiale esplosivo.

«Mi hanno ispirato le parole di Bolsonaro. Volevo creare il caos e spingere le forze armate a intervenire e dichiarare lo stato di emergenza», ha detto.

Ci sono molti interrogativi ancora senza risposta sul profilo del bombarolo bolsonarista che da due mesi aveva lasciato il suo lavoro per trasferirsi a Brasilia, dove ha pianificato l’attentato. Ha agito da solo? Qualcuno ha finanziato l’iniziativa?

«Non è un lupo solitario – spiega Flavio Dino, futuro ministro della Giustizia del III Governo Lula – La sua azione nasce dalle politiche di liberalizzazione delle armi e dall’odio ispirato dai discorsi di Bolsonaro».

«GLI ACCAMPAMENTI bolsonaristi sono incubatori di terroristi. Godono del sostegno di alcuni esponenti delle forze armate e del finanziamento di certi imprenditori. Lo dico sulla base di evidenze che renderemo pubbliche. Non permetteremo che il terrorismo politico metta radici nel paese», conclude il ministro Dino.

Dino sta lavorando a un decreto per regolarizzare il mercato delle armi, liberalizzato dal governo Bolsonaro con la diffusione dei poligoni di tiro e dei Cac, dalla sigla portoghese «collezionisti, tiratori sportivi e cacciatori».

Anche Washington era affiliato a un Cac, grazie ai quali, nel quadriennio passato, il numero delle armi è triplicato: oggi ce sono un milione in circolazione, secondo l’Istituto Sou da Paz.

ACCAMPAMENTI come quelli di Brasilia sono presenti ancora in diverse città del paese, riuniscono lo zoccolo duro del bolsonarismo radicale, quello che non riconosce il risultato delle urne.

In questi mesi, le manifestazioni hanno oscillato tra il folklore, come quella che chiedeva l’intervento degli alieni per impedire l’insediamento di Lula, e atti di violenza urbana. Oltre al fallito attentato di Washington, proprio a Brasilia si sono registrati molti campanelli d’allarme.

Il 12 dicembre scorso, nella cerimonia di nomina di Lula, à diplomação, un gruppo di bolsonaristi ha dato fuoco a un bus e ad alcune auto e ha provato ad assaltare la sede della polizia federale.

LA NOTTE di natale 10 manifestanti sono stato arrestati, con fionde, munizioni e ricetrasmittenti, sospettati di voler assaltare il tribunale elettorale. E materiale esplosivo e giubbotti antiproiettili sono stati ritrovati a Gama, a 30 km dal centro di Brasilia.

Clima teso che ha obbligato le autorità a rivedere il sistema di sicurezza della cerimonia di insediamento di Lula, che prevede un’ampia presenza di capi di stato e di governo stranieri. «La più grande della storia», dichiarano i membri dello staff presidenziale, con delegazioni provenienti da tutto il mondo.

L’obiettivo è riallacciare i rapporti internazionali congelati durante il governo Bolsonaro.

MA OLTRE alle autorità straniere, è prevista la presenza di centinaia di migliaia di manifestanti, del Partito dei Lavoratori, dei partiti della coalizione lulista e dei movimenti sociali, che arriveranno da tutto il paese.

Chi sicuramente non ci sarà è Jair Bolsonaro: si è rifiutato di partecipare alla cerimonia e passare la fascia presidenziale a Lula. Passerà il capodanno a Mar-a-Lago, in Florida, in un hotel di Donald Trump.

* Fonte/autore: Federico Nastasi, il manifesto[1]