COP15 di Montreal. Difesa della biodiversità, ma senza obblighi

by Marinella Correggia * | 20 Dicembre 2022 10:09

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Dopo quattro anni di negoziati e una maratona di dieci giorni al summit Onu, 196 stati raggiungono un’intesa non vincolante. Gli obiettivi sugli ecosistemi prevedono che, entro il 2030, il 30% delle aree terrestri, delle acque interne, costiere e marine sia conservato tramite reti di aree protette

 

L’Accordo globale di Kumning-Montreal sulla biodiversità è stato approvato a Montreal dopo 4 anni di negoziati e una plenaria fiume a conclusione della Cop15, la Conferenza delle parti della Convenzione Onu sulla biodiversità (Cbd) che conta 196 Stati membri.

Il precedente Piano strategico per la biodiversità 2011-2020 adottato a Nagoya nel 2010 non è stato rispettato. Il nuovo accordo sarà una pietra miliare per la salvaguardia della natura, salvezza dei popoli?

GLI OBIETTIVI a tutela degli ecosistemi prevedono che, entro il 2030, il 30% delle aree terrestri, delle acque interne, costiere e marine sia conservato tramite reti di aree protette, nelle quali qualsiasi uso sostenibile sia compatibile con la conservazione (oggi sono formalmente protetti il 17% delle aree terrestri e l’85 dell’oceano). Altro obiettivo: ripristinare entro il 2030 almeno il 30% dei terreni degradati di terra e d’acqua.

AGIRE SULLE CAUSE della perdita di natura. Dimezzare il rischio di pesticidi e sostanze nocive (troppo per alcuni paesi grandi produttori agricoli, e troppo poco per gli ambientalisti). Lavorare contro l’inquinamento globale da plastica. Ridurre l’impronta dell’iper-consumo e dei rifiuti e dimezzare lo spreco alimentare. Operare per ridurre al minimo l’impatto dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani, evitando le estinzioni a cascata. Far diventare sostenibili agricoltura, pesca e prelievo del legname. Adottare misure per garantire che soprattutto le grandi imprese e la finanza monitorino e rendano noti i propri impatti sulla biodiversità.

FRA ESTINZIONI, invasioni e traffici, l’accordo impegna i paesi ad azioni per la conservazione e la ripresa delle specie a rischio (un milione fra animali e vegetali), contrastando la diffusione di specie aliene e riducendo i rischi anche sanitari connessi al commercio illegale di vita selvatica.

I POPOLI INDIGENI OTTENGONO un esplicito riconoscimento dei loro diritti, del loro ruolo, dei territori e delle loro conoscenze, vitali nella protezione della natura e della biodiversità.

ASPRA LA BATTAGLIA sui fondi e l’equità: il Sud globale, che ospita la quota maggiore della biodiversità, finora ha ricevuto troppe richieste di impegno e troppo poco aiuto dall’iperconsumista Nord.

L’accordo concluso raccomanda ai paesi firmatari sia di ridurre almeno 500 miliardi di dollari all’anno alla fine di questo decennio i sussidi dannosi per la natura sia di destinare 200 miliardi di dollari all’anno per iniziative di conservazione della biodiversità. Prevede 30 miliardi di dollari in aiuti annuali al Sud entro il 2030 (e 20 entro il 2025).

Per ora, niente nuovo fondo ad hoc per la biodiversità: ci sarà un ramo del Global Environment Facility (Gef). Come sottolinea il Guardian, la presidenza cinese sembra aver forzato l’accordo all’ultimo momento, ignorando le forti obiezioni dei paesi africani – i soldi del Gef vanno in gran parte a paesi asiatici e latinoamericani.

CONTRO la biopirateria delle risorse biologiche da parte delle catene del valore multinazionali, l’accordo prevede di istituire un meccanismo globale e un fondo per la condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle informazioni di sequenza digitale (Dsi) delle risorse genetiche. La biopirateria impegna da tempo gruppi come il Third World Network (Twn). Che con altre60 organizzazioni aveva scritto ai negoziatori chiedendo di evitare nel testo formule generiche. Inoltre il Twn Briefing Paper di marzo 2022 ha messo in chiaro come il debito del Sud del mondo incoraggi la perdita di biodiversità.

GREENPEACE RITIENE fondamentali le «tutele basate sui diritti dei nativi che sono il futuro della conservazione», ma «nel complesso il vertice non è riuscito a fornire l’ambizione, gli strumenti e i finanziamenti necessari per fermare un’estinzione di massa. L’obiettivo 30×30 è ridotto all’osso, senza le specifiche essenziali per escludere le attività dannose dalle aree protette».

Protezione di carta? Anche i fondi sono insufficienti, visto il deficit di finanziamento della biodiversità pari a 700 miliardi di dollari. Inoltre, «gli schemi aziendali, come le compensazioni, si sono insinuati nei colloqui delle Nazioni Unite sulla biodiversità. False soluzioni che possono rivelarsi un costoso errore»: come avviene per le azioni climatiche. I governi europei, poi, «dovranno spingersi molto più in là di quanto concordato: proteggere realmente almeno il 30% delle terre e dei mari da qualsiasi attività estrattiva e industriale; e in modo integrale almeno il 10 per cento».

PER LEGAMBIENTE è un «primo passo», ma «ai singoli paesi è stata lasciata troppa discrezionalità: i singoli Stati implementino politiche specifiche per garantire efficacia in tempi brevi. Dall’Italia, il paese europeo con maggiore biodiversità, ci aspettiamo un’azione politica seria e decisa».

ANCHE IL WWF CHIEDE l’«attuazione immediata, senza scuse o ritardi» di un accordo che non è vincolante come quello di Parigi sul clima, anche se prevede meccanismi di verifica.

* Fonte/autore: Marinella Correggia, il manifesto[1]

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