Iran. Per fermare il boia la protesta arriva sotto la prigione

Iran. Per fermare il boia la protesta arriva sotto la prigione

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Due giovani a rischio esecuzione: arrivano le famiglie e tanti iraniani. Il racconto di uno di loro, Rashid: «Sono intervenuti i poliziotti e sono scappato: con i miei precedenti nelle manifestazioni, se mi prendono, la prossima volta sarò al posto loro»

 

Appena due giorni dopo l’esecuzione di due giovani manifestanti la magistratura della Repubblica islamica ha annunciato la condanna a morte di Saleh Mirhashmi, Majid Kazemi e Saeed Yaqoubi, in relazione alle proteste in Iran. I servizi di sicurezza e la magistratura iraniana continuano a perseguire coloro che in un modo o nell’altro hanno manifestato il loro dissenso negli ultimi mesi. Arrivano notizie di pesanti condanne da tutto il paese.

DOMENICA SERA, con la pubblicazione della notizia della possibile esecuzione della sentenza di Mohammad Broghni e Mohammad Qabadlou, in moltissimi si sono radunati davanti al carcere dove sono detenuti per impedirne l’esecuzione.

«Ieri avevamo organizzato un una cerimonia in ricordo delle vittime della tragedia del volo ucraino PS752 abbattuto tre anni fa. Una giornata grigia e piena di rabbia e dolore. Mentre ritornavo a casa ho visto la notizia che i due ragazzi erano stati trasferiti in isolamento dalla prigione di Rajaee Shahr (ovest di Teheran, ndr) per una probabile esecuzione», ci dice Rashid, attivista di diritti umani in Iran.

I due giovani, 19 e 22 anni, sono stati accusati di aver ferito deliberatamente una guardia di sicurezza con un coltello e di aver incendiato l’ufficio regionale della città di Pakdasht. Dopo processi iniqui, sono stati condannati all’impiccagione per «corruzione sulla terra» e «inimicizia contro Dio».

«Mi è arrivata la notizia che la famiglia Mohammad (Qabadlou) era davanti al carcere. Io vivo a Karaj e il carcere non è lontano così ho deciso di andarci. C’era una fila di macchine parcheggiate. Molte persone radunate davanti alla prigione che urlavano slogan – continua Rashid – La mamma di Mohammed urlava: “Non è vero che è stato mio figlio. (La vittima) è stato ucciso altrove. Accusano ingiustamente mio figlio. Questa non è giustizia”».

«SONO INTERVENUTI i poliziotti. Sono dovuto scappare velocemente, con i miei precedenti nelle manifestazioni se mi prendono la prossima volta sarò al posto loro», racconta Rashid. La notizia ha causato rabbia e condanne interne e internazionali.

La ministri degli Esteri tedesco, Analina Berbuk, ha convocato l’ambasciatore iraniano: «Un regime che uccide i giovani per terrorizzare il proprio popolo non ha futuro». Il segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna Stefano Sannino, ha convocato, a nome dell’Alto rappresentante, l’ambasciatore della Repubblica islamica presso l’Unione europea per ribadire la forte costernazione dell’Ue. Sannino ha ribadito l’invito dell’Ue alle autorità iraniane a cessare immediatamente la pratica di imporre ed eseguire condanne a morte contro i manifestanti.

LARS RASMUSSEN, ministro degli Affari esteri della Danimarca, ha detto che l’ambasciatore iraniano sarà convocato: «Il maltrattamento che hanno fatto alla loro stessa gente ha provocato la nostra estrema rabbia». Tutto ciò non sembra preoccupare lo Stato iraniano.

La guida della Repubblica, Khamenei, nel suo ultimo discorso incentrato sulle proteste antigovernative ha detto: «Alcuni hanno fatto sembrare che i manifestanti nelle “ribellioni” fossero contrari alle debolezze amministrative ed economiche del paese, mentre al contrario, il loro obiettivo non era eliminare le debolezze, ma distruggere le forze del Paese. Questo senza dubbio è tradimento. I responsabili delle istituzioni devono continuare ad affrontarli seriamente». Parole che sembrano una luce verde per il neo comandante generale della polizia Ahmadreza Radan e per la magistratura.

RIMANGONO ANCORA migliaia i manifestanti arrestati in attesa del processo. Secondo Iran Human Rights, 109 di loro rischiano la pena di morte. Mentre si moltiplicano espressioni di solidarietà da tutto il mondo, la Fondazione Olaf Palme ha indicato Narges Mohammadi, uno dei fondatori del Consiglio nazionale per la pace dell’Iran, come il vincitore del premio 2023. Mohammadi, già vincitore del premio internazionale della Fondazione Alexander Langer nel 2009, attualmente, si trova nel carcere di Evin a Teheran.

* Fonte/autore: Francesca Luci, il manifesto

 

 

ph by Pirehelokan, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons



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