Terremoto. I profughi siriani usati da Ankara come capro espiatorio

Terremoto. I profughi siriani usati da Ankara come capro espiatorio

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Privati degli aiuti, vittime di linciaggi e costretti a pagare gli spostamenti che per i turchi sono gratis. La denuncia di ong e sindacati: picchiati da gang nazionaliste ed esclusi dai soccorsi

 

In Turchia il bilancio cresce sempre di più. I terremoti del 6 febbraio hanno causato la morte di circa 30mila persone. Secondo gli ultimi dati comunicati dalle ong sul territorio, circa 10 milioni di persone hanno subito o subiranno gli effetti di questa catastrofe. La situazione è decisamente difficile per tutti ma forse per i rifugiati ancora di più, soprattutto perché la rabbia dei cittadini si sta indirizzando verso di loro e non verso i veri responsabili.

«In zona vivevano circa due milioni di rifugiati, in grande parte siriani, poi afghani. Pochi vivevano nei campi, la maggioranza abitava nelle case in condizioni precarie o non idonee. Temiamo che ci siano parecchie perdite tra i migranti presenti in zona. Purtroppo finora non ci sono numeri ufficiali».

PARLA così Emel Karadeniz del Sindacato dei Migranti (Gocmen Sendikasi) che opera con numerosi suoi iscritti e volontari sui territori colpiti in questi giorni.

Ozge Ozan invece lavora per la Fondazione di Solidarietà con le Donne(Kadınlarla Dayanısma Vakfı) e si trova sul territorio per svolgere lavori di ricerca, salvataggio e coordinamento: «Abbiamo poche informazioni anche sui centri di rimpatrio, non sappiamo come stanno coloro che si trovavano dentro».

Ozge attira l’attenzione sulla nuova circolare diffusa pochi giorni fa dalla Presidenza per la gestione dell’immigrazione che permette, solo per tre mesi e in modo straordinario, ai migranti residenti nelle zone colpite di uscire fuori dalle loro città di residenza, un diritto che gli veniva riconosciuto solo tramite un permesso speciale da alcuni anni.

«Tuttavia questi spostamenti non possono essere fatti con l’aereo a differenza dei cittadini turchi. Se i rifugiati hanno soldi riusciranno a raggiungere gli amici o i parenti residenti in altre città. Ci viene riferito che quelle aziende di trasporto che offrono spostamenti gratuiti discriminano i rifugiati e li fanno pagare».

In realtà sono anni che i rifugiati vivono in piena discriminazione in Turchia. Sono circa quattro milioni e si trovano in una situazione molto precaria: hanno diritto a una protezione provvisoria e non possono lasciare la Turchia, situazione, in parte, frutto dell’accordo firmato con l’Unione europea.

IN GRAN PARTE sono siriani e sono sotto pagati, la maggioranza è senza permesso di lavoro quindi impossibilitata a lavorare con un contratto. Negli ultimi anni, soprattutto con la crescita della crisi economica e dei partiti razzisti, sono nati diversi momenti di linciaggio fisico nei loro confronti in diversi angoli del paese e c’è una continua disinformazione sulla loro condizione di vita.

«In questi giorni ho conosciuto vari rifugiati che sono stati accusati di saccheggio e malmenati. Ci sono bande composte dai nazionalisti alla ricerca di rifugiati da picchiare. Alcuni media e politici diffondono notizie false sopratutto sui siriani dicendo che rubano oppure ricevono quei servizi che i cittadini turchi non riescono».

La questione che solleva Ozge è stata citata anche nel comunicato dell’Associazione degli avvocati progressisti (Çhd): «Riceviamo diverse segnalazioni sui casi di discriminazione che subiscono i rifugiati nella distribuzione dei beni di prima necessità. Sono di nuovo vittime delle dichiarazioni d’odio. Alcuni politici e organizzazioni criminali approfittano della mancanza dello Stato per creare il capro espiatorio invece che concentrarsi sui veri responsabili di questo disastro». L’Associazione specifica nel suo comunicato che ha già iniziato a denunciare i casi di violazione dei diritti umani.

Si è espressa anche l’Associazione di Solidarietà con i Rifugiati (Multeci-Der): «In alcune zone le amministrazioni locali dichiarano che non sono intenzionate ad aiutare ai rifugiati oppure hanno già iniziato a comportarsi così».

SECONDO EMEL i rifugiati potrebbero trovarsi obbligati ad andare a vivere nelle grandi città, lasciare la Turchia partendo verso l’Europa o ritornare in Siria. Nel primo caso, secondo Ozge, si tratterebbe di una situazione difficile: «Nelle grandi città i rifugiati vivono in piccoli appartamenti in tanti e pagando molto. Per cui l’arrivo di altri rappresenta un peso notevole».

Emel teme che per il governo centrale la partenza dei rifugiati verso la Siria possa essere una sorta di «soluzione»: da tempo cresce una rabbia collettiva perché Ankara non è in grado di dare una vita dignitosa ai rifugiati e questa rabbia tende a trasformarsi in un consenso elettorale a sfavore del governo.

«L’altra opzione che gli rimane è partire per l’Europa. A questo punto l’Ue deve comportarsi in modo responsabile dato che la permanenza obbligatoria e le condizioni di vita precarie sono anche le conseguenze dell’accordo firmato con il governo centrale in Turchia», dice Ozge.

Ma sono anche i pensieri di Emel e di tante altre ong presenti in Turchia, molto preoccupate del futuro di queste persone arrivate in Turchia scappando dalla guerra che distrugge i loro paesi.

* Fonte/autore: Murat Cinar, il manifesto



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