Ucraina. Clima, guerre, nucleare, la missione suicida del capitalismo
L’ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO DI CHOMSKY. C’è la possibilità di un negoziato? Non possiamo saperlo finché non ci proviamo. Intanto la realtà europea ne esce a pezzi e l’Ucraina viene devastata con il perdurare degli attacchi russi
Anticipiamo, per gentile concessione della casa editrice Ponte alle Grazie, parti significative del capitolo 29 del libro di Noam Chomsky, (a cura di C.J. Polychroniou), “Poteri legittimi. Clima, guerre, nucleare: affrontare le sfide del nostro tempo” (pp.400 – euro 19,00, edizione italiana a cura di Valentina Nicolì), in uscita in libreria questi giorni.
Valentina Nicolì: Professor Chomsky, vorrei partire dalla situazione in Ucraina. A Qualche settimana fa il presidente Joe Biden ha dichiarato di essere disponibile a sedere al tavolo con Vladimir Putin «per capire che cosa abbia in mente». Ma ad oggi non si intravedono seri segnali di un negoziato di pace, e la Russia ha intensificato l’uso di missili e droni. Volodymyr Zelensk’yj si è recato in visita a Washington e ha tenuto un discorso alla Casa Bianca in cui ha dichiarato che l’Ucraina «non si arrenderà mai». Negli stessi giorni Biden ha annunciato un pacchetto di aiuti che comprendono anche i missili terra-aria statunitensi Patriot, da diverso tempo richiesti dall’U- craina.
Sul fronte opposto, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, in merito ai Patriot, ha precisato che saranno «obiettivi legittimi» dei militari russi. (…) Nel frattempo, emergono nuovi crimini di guerra compiuti dalle forze russe e l’Unione europea ha annunciato che istituirà «un tribunale speciale, con l’appoggio delle Nazioni Unite, per indagare e perseguire eventuali crimini di guerra commessi dalla Rus- sia in Ucraina».L’impressione generale, dunque, è che le rispettive posizioni si stiano irrigidendo. Lei stesso, un paio di mesi fa, ha affermato: «Non ci vuole poi molto a salire la scala dell’escalation che porta da una guerra circoscritta a una nucleare e definitiva». Ci troviamo in una fase nuova e più grave dell’escalation?
Noam Chomsky: È vero, Joe Biden ha offerto un negoziato alla Russia, ma bisogna specificare in quali termini lo ha fatto. Biden ha detto che negozierà a una sola condizione: che la Russia acconsenta a una resa totale, su tutto. In altre parole, qualcosa del tipo: «Sto offrendo a Putin una ‘via d’uscita’, ma solo dopo che si sarà arreso completamente, se ne sarà andato e avrà rinunciato a tutto. Dopodiché potrà vedere se il popolo russo sarà soddisfatto e non lo defenestrerà. Questa è la mia generosa offerta». In questo consistono in pratica i negoziati.
Riguardo all’escalation, non dimentichiamo che all’inizio dell’aggressione di Putin, gli analisti militari statunitensi e della Nato erano convinti che la Russia avrebbe conquistato l’Ucraina in pochi giorni. Addirittura, si ragionava su un governo provvisorio e su come portare Zelensk’yj fuori dal paese e metterlo al sicuro. Tutti, compresa a quanto pare anche la Russia, hanno sopravvalutato di molto la potenza militare russa e sottovalutato la strenua volontà degli ucraini di difendersi. Ma quello che si aspettavano non è avvenuto. Sono rimasti anche molto sorpresi, e lo hanno ammesso, che la Russia non combattesse la guerra seguendo lo stile statunitense, britannico e israeliano (non hanno citato Israele, lo aggiungo io). La strategia anglo-americana, adottata anche da Israele, è quella che viene definita «Shock and Awe» (‘colpisci e terrorizza’, o del ‘dominio rapido’). (…)Di distruggere tutto insomma. Certo, con il passare del tempo, com’era prevedibile, la Russia ha cominciato a imitare lo stile angloamericano e israeliano e nelle ultime settimane ha cominciato ad attaccare le infrastrutture. Ed è devastante. Infatti gli ucraini, non Zelensk’yj ma gli analisti economici e anche le banche, sono preoccupati che l’economia possa crollare da un momento all’altro. (…) Quanto più la guerra perdura tanto più l’Ucraina sarà devastata.
Ciò detto, è comprensibile che il presidente Zelensk’yj sia andato a Washington a chiedere altre armi. Era ovvio che lo facesse, è perfettamente comprensibile. Noi però possiamo domandarci cosa questo comporti. Se daremo a Zelensk’yj le armi che chiede e che gli consentirebbero di attaccare la Russia, e lui dovesse attaccare veramente, questo ci porterà dritti in cima a quella scala, alla guerra definitiva. E allora sarà la fine per tutti noi. Se Zelensk’yj dovesse avviare questo tipo di conflitto con la Russia, saremmo tutti finiti. Punto. Ovviamente l’Ucraina, ma anche tutti gli altri. Finora il Pentagono, che al momento costituisce l’organismo di peacekeeping del governo statunitense, ha bocciato queste richieste di armi perché sa che produrrebbero un’escalation verso la guerra definitiva. Loro sanno bene che cos’è la guerra; forse al Congresso pensano di poter fare eroiche dichiarazioni con tanta leggerezza.
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Ci sono anche svariati milioni di persone che fanno i conti con la fame. Larga parte del Medio Oriente e dell’Africa dipende dalle esportazioni di grano, di fertilizzanti e altre merci dalla regione del mar Nero, che sono state interrotte bruscamente. La carestia non è certo uno scherzo. In luoghi come lo Yemen la situazione è disastrosa. Secondo alcune recenti stime, in Afghanistan circa sei milioni di persone rischiano la fame. Lo stesso dicasi in Somalia. Insomma, tutto questo è orribile. Non dipende solo dalla crisi del mar Nero, ma fa la sua parte. Nel frattempo, enormi risorse vengono destinate alla distruzione, risorse che sono disperatamente necessarie per superare la crisi climatica che incombe. Ci stiamo uccidendo con le nostre mani.
C’è una via d’uscita? C’è la possibilità di una soluzione negoziata al conflitto in Ucraina? Il mondo intero chiede il negoziato. Ovviamente tutta l’area del Sud globale: questi paesi non vogliono entrare in quella che dal loro punto di vista è una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti.
Secondo lei hanno ragione, si tratta di una guerra per procura?
L’argomentazione ha un certo fondamento. Il punto, però, non è come la vediamo noi, ma il fatto che grossa parte del mondo la vede così. Il Sud globale la vede così, ed è un dato importante. Di sicuro sappiamo che la posizione ufficiale degli Stati Uniti è che la guerra deve essere combattuta per indebolire fortemente la Russia. Questa è la posizione ufficiale, e adesso anche l’Europa in larga misura ha aderito ad essa con l’ultimo vertice Nato. Il punto è: c’è un’altra strada? C’è la possibilità di un negoziato? Non possiamo saperlo finché non ci proviamo.
Non troppi mesi fa, a marzo e aprile, erano stati avviati dei negoziati tra Ucraina e Russia sotto l’egida della Turchia. Sono falliti, ma data la scarsissima copertura delle trattative e degli sforzi diplomatici non ne conosciamo i motivi. Sappiamo però che l’allora premier britannico Boris Johnson è volato in Ucraina e ha informato gli ucraini che Stati Uniti e Regno Unito ritenevano che non dovessero esserci negoziati in quel momento. A lui ha fatto eco il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin. (…) Questo è quello che accade man mano che il conflitto va avanti: le posizioni su tutti i fronti diventano più rigide, più dure, più irremovibili. (…)
L’ultimo punto, riguardo ai crimini di guerra. È un’ottima cosa che questi delitti vengano indagati. Ovviamente nelle nostre società fortemente indottrinate possiamo contemplare indagini di questo tipo solo per i crimini di guerra degli altri. E i nostri di crimini? Non esistono. Dunque: nessuna indagine. Tuttavia, è una buona cosa che le società occidentali fortemente indottrinate vogliano che quantomeno i crimini di guerra dei nemici siano soggetti a indagini. È un passo avanti. Perché magari un giorno o l’altro qualcuno avrà il coraggio di rompere gli schemi e dire: «Ehi, e i nostri?». Il resto del mondo continua a dirlo da tempo, ma tutto questo non riesce a fare breccia nei nostri ferrei, rigidi sistemi dottrinali, che non consentono alcuna discussione su questi temi.
L’impressione è che, mentre il conflitto in Ucraina continua, la Nato stia assumendo una postura più forte su tutti i fronti..(…)
In questo caso dobbiamo osservare il contesto storico. Sin dalla fine della Seconda guerra mondiale e durante tutta la Guerra fredda, è rimasto vivo il dibattito su quale ruolo debba avere l’Europa nell’ordine internazionale. Fondamentalmente sussistono due visioni. Una è quella atlantista basata sulla Nato, in cui l’Europa è subordinata agli Stati Uniti. L’altra possibilità è quella proposta da De Gaulle, da Billy Brandt, Olof Palme e altri statisti, secondo la quale l’Europa deve diventare una terza forza indipendente sulla scena internazionale con accordi di qualche tipo con il suo partner naturale, la Russia, perché è evidente che la Russia sia un partner naturale. La Russia ha enormi risorse minerali e di altro tipo, e anche se non ha una grande economia – si dice sia più o meno paragonabile a quella del Messico – l’Europa ha bisogno di quelle risorse e può garantire investimenti adeguati: quella che viene definita talvolta dagli economisti un’«unione voluta dal destino».
Dunque, si è sviluppato quel tipo di Europa immaginata da De Gaulle, un’Europa che si estende dall’Atlantico agli Urali, separata e indipendente? No, a prevalere fu la visione degli Stati Uniti grazie alla loro potenza. Questa questione tornò nuovamente alla ribalta con il crollo dell’Unione Sovietica (1990-91). Michail Gorbačëv propose una «casa comune europea», come la definì lui, che si estendesse da Lisbona a Vladivostok senza alleanze militari e senza vinti né vincitori, ma tutti uniti nel costruire un futuro di socialdemocrazia. Bush padre era moderatamente d’accordo con questa linea. Ma poi arrivò Bill Clinton e gettò tutto all’aria. Immediatamente, nel 1994, cominciò a espandere i confini della Nato, rompendo così l’accordo tra Bush e Gorbaciov. (…). Ma fu fortemente criticato dalle più alte sfere diplomatiche statunitensi, come l’ambasciatore di Reagan in Russia Jack Matlock, George Kennan e altri. La cosa andò avanti comunque ed è arrivata fino ai giorni nostri.
Il filosofo statunitense esamina in che modo il tessuto sociale dei paesi occidentali si è sgretolato lasciando dietro di sé fratture profonde. Il quadro che delinea è quello di un’America indebolita le cui tensioni interne trovano un’eco precisa a livello globale – dalle pratiche sovversive di marca trumpiana adottate da Bolsonaro in Brasile fino al rovesciamento della sentenza Roe v. Wade con le sue possibili ripercussioni sui diritti delle donne in tutto il mondo… Ma soprattutto, Chomsky affronta in maniera diretta e accurata il conflitto russo-ucraino, risalendo alle sue radici più antiche fino al conflitto ancora in corso, dove Kiev è il centro di un crocevia di interessi, alleanze e contrasti tra i tre grandi player – Russia, Stati Uniti, NATO, Unione Europea e Cina.(…) Emmanuel Macron ha cercato in tutti i modi di convincere Putin ad accettare una qualche forma di accomodamento che non portasse alla guerra. Abbiamo a disposizione le trascrizioni delle loro conversazioni, le abbiamo lette sulla stampa francese. Questo accadeva fino a quattro giorni prima dell’invasione. Erano proposte molto sensate ma Putin le ha rifiutate con sdegno, procedendo con l’invasione. E così facendo ha fatto a Washington il dono più gradito: le ha consegnato l’Europa su un piatto d’argento. Ha detto: «Ecco, è tutta tua». (…)
In generale, l’Europa ne esce seriamente indebolita e l’Ucraina, naturalmente, viene devastata con il perdurare della guerra. Nel frattempo, le industrie statunitensi sono entusiaste, perché ci guadagnano immensamente, fanno i profittii più grandi che abbiano mai registrato. E non soltanto i produttori militari, ma anche l’industria dei combustibili fossili, le banche, i fondi d’investimento e l’agribusiness, nel quale vige un quasi monopolio da parte di cinque o sei società e che sta facendo enormi profitti sulla carestia che si sta verificando in vaste aree del pianeta. In realtà, una grossa parte dell’inflazione negli Stati Uniti deriva dai ricarichi delle industrie, le quali fanno utili enormi rialzando i prezzi ben al di sopra dei costi. È un fenomeno che è stato analizzato dal premio Nobel Joseph Stiglitz e da altri economisti.
Questa è la situazione in cui ci troviamo. L’Europa può scegliere di rimanere al rimorchio di Washington e seguire la posizione americana ufficiale di continuare a sostenere la guerra al fine di «indebolire la Russia», indipendentemente dagli effetti che questo può avere sugli ucraini e sugli altri, così come di allinearsi alla guerra statunitense contro la Cina per bloccarne lo sviluppo. Oppure può imboccare la strada indicata da De Gaulle e da Gorbaciov verso un’Europa indipendente e che trova una sorta di accomodamento a est, con la Russia, la Cina, l’Eurasia centrale. Un’area che sempre più viene integrata nel sistema di sviluppo che ha come epicentro la Cina. E’ questa la scelta che devono fare gli europei.
* Fonte/autore: Noam Chomsky, il manifesto
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