FORSE NON ANCORA in ambito Quad, dove l’India continua a rallentare la corrente. Ma sull’Aukus ci sono meno freni tirati. Nella notte tra lunedì e martedì, è stato lanciato a San Diego il piano che doterà l’Australia di tre sottomarini a propulsione nucleare a partire dal 2030. Con la possibilità di Canberra di acquistarne altri due.

Il programma ricade nella cornice Aukus, che oltre all’Australia comprende Stati uniti e Regno unito. Per la prima volta Washington condivide la tecnologia di propulsione nucleare, dopo averlo fatto con Londra negli anni ’50.

La roadmap svelata da Joe Biden, Rishi Sunak e Anthony Albanese prevede quattro fasi. Da subito, si intensificano gli scambi di personale militare e civile, con la marina australiana addestrata da quella statunitense. Dal 2027 i sottomarini britannici e americani saranno coinvolti in rotazioni coordinate. L’ultimo step, dopo la fornitura dei classe Virginia alla flotta australiana, sarà la costruzione autoctona (sia di Londra sia di Canberra) di un sottomarino d’attacco di nuova generazione.

CI SARANNO pattugliamenti congiunti sia sull’Atlantico che sul Pacifico, ma è quest’ultimo il vero fronte. L’obiettivo è sempre quello: contenere la Cina. Biden ha sottolineato che i sottomarini saranno sì a propulsione nucleare, ma «non avranno armi nucleari di alcun tipo a bordo». Rassicurazione che non basta a Pechino.

Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha definito il programma un «atto illegale di proliferazione nucleare». E ancora: «Alimenta la corsa agli armamenti e danneggia la pace e la stabilità nella regione».

La missione cinese alle Nazioni unite ha rincarato: «Due Stati dotati di armi nucleari che affermano di sostenere i più alti standard di non proliferazione nucleare stanno trasferendo tonnellate di uranio arricchito per armi a uno Stato non dotato di armi nucleari».

Contestualmente al lancio del piano, Biden ha espresso l’intenzione di parlare con Xi Jinping nelle prossime settimane, dopo il viaggio a Mosca e il suo primo colloquio dall’inizio della guerra con Volodymyr Zelensky. Freddezza da Pechino, che chiede a Washington di «mostrare sincerità» e «intraprendere azioni concrete per riportare in carreggiata le relazioni».

D’ALTRONDE, la Cina si sente o si racconta in via d’accerchiamento. Lunedì sono iniziate contemporaneamente due vaste esercitazioni congiunte Usa-Corea del Sud e Usa-Filippine. Nel primo caso, le Freedom Shield sono le manovre più imponenti degli ultimi cinque anni e prevedono test di sbarco anfibio. La Corea del Nord le definisce «prove d’invasione» e ha reagito lanciando quattro missili balistici nel giro di 24 ore, di cui due per la prima volta da un sottomarino. La Cina ha chiesto a Seul di «non pregiudicare la propria sicurezza per seguire gli interessi americani».

Ma domani il presidente Yoon Suk-yeol vedrà a Tokyo il premier Fumio Kishida per rilanciare i rapporti col Giappone, sviluppo ritenuto cruciale da Washington per serrare le fila in Asia orientale. Anche le manovre con le Filippine sono le più vaste da diverso tempo, con la partecipazione di oltre tremila militari ed esercitazioni a fuoco vivo. L’ambasciata cinese ha invitato il presidente Ferdinand Marcos Jr a non «attirare i lupi in casa».

LE FILIPPINE SEMBRANO l’unico paese dell’area ad aver accolto positivamente l’annuncio su Aukus. Nei prossimi giorni, il responsabile per il Pacifico del Dipartimento di stato americano, Daniel Kritenbrink, sarà in Indonesia e Malesia per provare a rassicurare i paesi del sud-est asiatico che non vogliono restare coinvolti in scontri tra potenze. Perplessità anche da Vietnam e Thailandia.

L’accordo sui sottomarini nucleari è destinato a peggiorare anche i rapporti tra Pechino e Londra, che secondo Reuters ha nettamente aumentato l’esportazione verso Taiwan di componenti e tecnologie per lo sviluppo di sottomarini. Nei primi nove mesi del 2022 il valore totale delle spedizioni sarebbe superiore ai precedenti sei anni messi insieme. Ostacoli anche per la ripresa delle relazioni con Canberra. Albanese intanto si difende dalle critiche e sostiene che le vaste spese (245 miliardi di dollari entro il 2055) contribuiranno a creare 20mila nuovi posti di lavoro.

A preoccupare Pechino sono però soprattutto le intenzioni degli Usa. Secondo Politico, in aggiunta al budget militare, il Pentagono chiederà al Congresso 15,3 miliardi di fondi speciali per le forze del Pacifico. Più del doppio di quanto richiesto nel 2022.

* Fonte/autore: Lorenzo Lamperti, il manifesto