Luigi Ferrajoli: «Guerra, Abu Ghraib, Guantanamo. Così muore la civiltà del diritto»

Luigi Ferrajoli: «Guerra, Abu Ghraib, Guantanamo. Così muore la civiltà del diritto»

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Vent’anni fa Stati Uniti e alleati commisero l’errore di rispondere con un’azione bellica a un atto di terrorismo, riflette il giurista. Oggi che la guerra è tornata nel cuore dell’Europa e la minaccia nucleare è stata normalizzata è sempre più urgente una Costituzione della terra per la pace, il disarmo, la protezione dei beni naturali e artificiali, il contrasto al cambiamento climatico. «Il futuro della democrazia e la sopravvivenza stessa dell’umanità sono minacciate da quello che Eisenhower chiamava apparato militare-industriale – afferma Ferrajoli – La guerra è naturale, la pace è artificiale e va istituita. Bisogna abolire gli eserciti e le armi. Il monopolio pubblico della forza non ha bisogno di carri armati o bombe»

«Ci comportiamo come se fossimo l’ultima generazione che vivrà sul pianeta. Occorre fare un salto di civiltà, verso la Costituzione della terra». Nella sua casa a due passi dall’università La Sapienza, a Roma, Luigi Ferrajoli parla circondato dai libri. Una cinquantina li ha scritti lui. Discute con il manifesto tra un’intervista che sarà trasmessa in Mali e la preparazione di un viaggio che lo porterà in Messico e poi a Cuba. Ha 82 anni e guarda al mondo con una solida convinzione: l’unica ipotesi realistica e razionale è invertire completamente la rotta. Serve una Costituzione della terra che garantisca i diritti fondamentali e limiti la foga distruttrice di Stati nazionali e mercati selvaggi. È l’unico modo per assicurare la pace e scongiurare la distruzione nucleare. Vent’anni fa aveva già descritto la serie di problemi che lo avrebbero portato a questa conclusione in un articolo pubblicato sulla rivista del Manifesto. Il titolo era «Strage preventiva», mancavano due mesi all’invasione statunitense dell’Iraq.

Scrisse che «l’effetto più grave della guerra, oltre le vittime e le devastazioni, è il crollo del diritto internazionale». Com’è andata?

La guerra contro l’Iraq è avvenuta sulla scia della strage delle Torri Gemelle. La cosa più irresponsabile è stata considerare un atto di guerra quello che era stato un atto criminale e terroristico. È servito a legittimare una risposta che ha avuto come vittime principali persone innocenti. Non si va a bombardare un paese, prima l’Afghanistan e poi l’Iraq, per reagire al terrorismo. Contro un atto terroristico si devono usare le regole del diritto penale, investigando, trovando i responsabili. Ovviamente è una risposta molto più difficile e meno demagogica. Ma è l’unica razionale. Viceversa con la risposta militare abbiamo fatto divampare il terrorismo e la logica del nemico. Paradossalmente dopo la fine dell’Urss e della guerra fredda i pericoli bellici sono aumentati. Anziché il disarmo e lo scioglimento delle alleanze militari, che non servono a niente, si è avviata una corsa al riarmo. Non credo sia secondario il ruolo di quello che Eisenhower chiamava l’apparato militare-industriale. Alla fine del suo mandato il presidente Usa, che da generale fu vincitore della seconda guerra mondiale e primo comandante in capo della Nato, disse che il futuro della democrazia nel mondo era minacciato dall’apparato militare-industriale. Non bisogna dimenticarlo oggi che la guerra è tornata a essere normale.

Nello stesso ciclo bellico, dopo l’attacco all’Afghanistan, gli Usa di Bush introdussero il Patriot act e aprirono Guantanamo. Misure emergenziali diventate ordinarie.

Il Patriot Act è un testo vergognoso perché prevede sanzioni disumane e gravissime senza regolare processo e rispetto delle garanzie. Nei confronti del terrorismo la risposta più efficace è quella asimmetrica. La grande forza delle istituzioni è l’asimmetria tra l’inciviltà del crimine e la civiltà del diritto. Altrimenti si abbassano al livello della criminalità o alzano la criminalità al livello delle istituzioni. E così hanno già perso. Non penso solo a Guantanamo, ma anche ad Abu Ghraib e ai bombardamenti dei civili. Queste operazioni fanno il gioco del terrorismo. Attivare la logica del nemico come fattore di coesione sociale intorno ai governi bellicisti è sempre estremamente pericoloso. Lo vediamo anche oggi: qualunque dubbio viene stigmatizzato come filo-putinismo. È il segno del clima bellicista che assume la logica del nemico come logica propria della politica. Così si fa il gioco di chi vuole le guerre.

Il parlamento italiano ha votato l’invio di armi all’Ucraina sostenendo che l’art. 11 della Costituzione non vale per il sostegno a un popolo che si difende. Nemmeno in occasione della guerra d’aggressione all’Iraq, però, quella norma impedì la partecipazione alla «coalizione dei volenterosi» e all’occupazione del paese. Perché?

È il segno della debolezza del nostro ceto politico e della nostra Costituzione, purtroppo. La Costituzione è tramontata dall’orizzonte della politica. Il rifiuto della guerra fu pensato dai costituenti come la forma più drastica e radicale di impegno pacifista. Viceversa l’azione dei governanti si caratterizza per irresponsabilità e demagogia. Questo atteggiamento aprioristicamente filo-atlantico non è altro che un segno di demagogia. È chiaro che bisogna essere solidali con l’Ucraina aggredita, ma bisogna anche trovare una soluzione. Nell’interesse stesso dell’Ucraina. O vogliamo che sia devastata fino all’ultimo abitante? Solidarizzare con l’Ucraina significa affiancarla in una trattativa di pace. Non lasciarla sola di fronte a Putin. Per esempio sostenere un’assemblea generale dell’Onu riunita in seduta permanente fino a quando trovi una soluzione. Incluso l’ingresso della Russia nella Nato. Lo dico in maniera provocatoria, ma l’obiettivo dovrebbe essere ricostituire le condizioni della pace, rifondare l’Onu e rispondere al problema delle armi. Siamo dotati di 15mila testate nucleari quando ne bastano 50 per distruggere l’umanità. È una questione di sopravvivenza.

Nel 2003 l’Onu non riuscì a impedire la guerra, stavolta non riesce a farla finire. Cosa non funziona?

La carta dell’Onu e le tante carte dei diritti sono fallite e si sono trasformate in pura retorica perché non sono dotate di tecniche e istituzioni di garanzia. Per questo occorre un salto di civiltà, con la Costituzione della terra o con più trattati su pace, riscaldamento climatico, disuguaglianze, salute, su un demanio pubblico globale a tutela dei beni naturali e artificiali. Ci stiamo comportando come se fossimo l’ultima generazione che vive sul pianeta. La catastrofe è già in atto. Abbiamo poco tempo.

Nel libro «Per una costituzione della terra» descrive la guerra come un «crimine di sistema». Di che si tratta?

Nello statuto della Corte penale internazionale la guerra d’aggressione è prevista come un crimine. Però produzione di armamenti, riscaldamento climatico, accumulazione di armi nucleari, crescita delle disuguaglianze, mancata attuazione dei diritti fondamentali non sono fenomeni che possono essere affrontati con il diritto penale. Dobbiamo emanciparci dalla tesi secondo cui tutto quello che non è trattabile penalmente è permesso. È l’odierna banalizzazione del male, che ci sta portando al disastro. Perché ci impedisce di leggere questi fenomeni come crimini, evitabili e dovuti alle inadempienze della politica. Anche se, bisogna dirlo, non è il problema di questo o quel governo. Nessuno Stato da solo è in grado di affrontare tali problemi. L’unica possibilità è mettersi insieme e rifondare il patto di convivenza. Sembra un’utopia, ma in realtà è l’unica ipotesi realistica. Altrimenti arriverà la catastrofe. Questa rivoluzione non è contro qualcuno – la borghesia, l’aristocrazia – ma nell’interesse di tutti. Anche per i ricchi e i potenti questo è l’unico pianeta a disposizione.

Intanto Putin è stato incriminato dalla Corte dell’Aja.

Russia, Usa, Cina, Israele e tutti gli Stati più potenti non hanno sottoscritto lo statuto della Corte penale internazionale. Quindi questa incriminazione è giuridicamente infondata. Non è possibile processare Putin. Considero Putin un criminale, ma questa iniziativa serve solo a buttare benzina sul fuoco. E segnala una non volontà di arrivare alla pace, di rifiutare qualsiasi tentativo di negoziato. Sembra che questa guerra non debba finire mai, ma ciò significa mettere in conto la sua degenerazione nucleare. Il solo fatto di prendere in considerazione questa possibilità è una follia, ma mostra dove siamo arrivati.

Citando Kant lei scrive che «la guerra è naturale, mentre la pace è artificiale e dunque va istituita». Quali istituzioni globali di garanzia servirebbero ad attuarla?

Kant scrive che la guerra è un fenomeno naturale mentre è artificiale la costruzione della convivenza pacifica sulla base di un patto di non aggressione che deve essere istituito e non sottoscritto. Anche la democrazia è artificiale. È naturale la legge del più forte, sono artificiali quelle leggi dei più deboli chiamate diritti fondamentali. Invocare la natura è sempre reazionario. Per garantire la pace bisogna abolire gli eserciti e le armi sotto l’egida dell’assemblea generale dell’Onu. Il monopolio pubblico della forza non ha bisogno di carri armati, aerei, bombe atomiche. L’abolizione delle armi è anche la principale garanzia della vita contro la criminalità. La maggior parte dei circa 480mila omicidi che avvengono ogni anno sono concentrati nei paesi dove le armi da fuoco sono più diffuse.

* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto



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