«Al Consiglio [costituzionale] ci stanno dei vecchi borghesi / che decidono al posto tuo», canta la folla sotto gli ombrelli, riunita nel piazzale davanti al comune di Parigi, in quella ch’era anticamente chiamata place de Grève, dove si scaricava la sabbia, e da dove viene il termine francese per la parola «sciopero». Le migliaia di manifestanti accorsi all’appello dell’intersindacale sembra non si aspettassero niente di diverso dal verdetto del Consiglio costituzionale che ha dato il via libera alla riforma delle pensioni di Macron.

«Nessuna sorpresa» per l’annuncio dei cosiddetti ‘saggi’, come vengono chiamati i 9 membri del Consiglio, assicura Didier Mace, ferroviere parigino iscritto al sindacato Force Ouvrière. «Più che saggi sono dei vecchi destri che decidono per milioni di persone», dice, attorniato dai colleghi. «Nessuno vuole questa riforma. C’era una crisi sociale, sfociata in una crisi democratica, e ora siamo ben avviati verso una crisi di regime. Almeno, lo spero».

Il Consiglio era l’ultimo appiglio istituzionale per un movimento sociale inedito, nei numeri e nelle forme, nei modi e nei tempi. La protesta, iniziata a gennaio e diretta da un’intersindacale raramente così unitaria, ha mobilitato milioni e milioni di persone, prodotto blocchi e azioni ovunque nel paese, scontrandosi poi contro la repressione della polizia. «La classe operaia francese s’è svegliata e ora tutto il mondo ci guarda. Puoi scommetterci che non lasciamo perdere», conclude Didier.
Davanti agli uffici della mairie de Paris, la distanza tra la piazza e le istituzioni francesi non è mai sembrata così siderale.

Nessuno aveva seriamente nutrito una reale fiducia nei ‘saggi’: «Sono tutti esponenti della politica e in maggioranza di centro-destra», dice Rénald, controllore dei treni iscritto al sindacato Sud-Rail. Come altri, conosce ormai a menadito i nomi dei componenti del Consiglio, che si preme di snocciolare: Laurent Fabius, ex-primo ministro, Alain Juppé, politico di destra ed ex-braccio destro di Chirac, e così via. «Juppé era quello che aveva provato a fare la riforma delle pensioni nel 1995, ma era stato costretto a lasciar perdere di fronte al grande movimento sociale di quell’anno. Ora si è preso la rivincita…» commenta.

Meno ottimista del suo collega di Force Ouvrière, Rénald teme che la decisione del Consiglio suoni come una sconfitta. «Tra una cosa e un’altra, è da gennaio che facciamo scioperi, blocchi, azioni, cortei… Alcuni di noi sono a 25 giorni di sciopero, che sono un sacco di soldi in meno in busta paga, senza contare la fatica. Teniamo il movimento da mesi, i nervi sono tesi come non mai. E quando si sta coi nervi tesi, eh, può succedere che accada il débordement…».

Déborder, tracimare, la parola è ora sulla bocca di tutti. Rénald spera che il movimento esca dagli argini e, soprattutto, che «i giovani scendano in piazza, perché noi operai cominciamo a pagare lo scotto di una mobilitazione così lunga». Dietro a uno striscione, Cinzia, studentessa d’italiano alla Sorbona, assicura che la decisione del Consiglio «non avrà un grande effetto sull’insieme del movimento». Cinzia esce da tre giorni di occupazione, finiti l’altro ieri. Secondo lei, il movimento studentesco sta pian piano strutturandosi, il coordinamento inter-facoltà nazionale e locale in particolare: «Stiamo costruendo qualcosa di duraturo». Di giovani ce ne sono parecchi, davanti all’Hotel de ville. Il corteo delle università, partito nel primo pomeriggio, è arrivato a rimpolpare la chiamata dell’intersindacale.

Al limite della piazza, una ragazza coi capelli colorati cerca di dar fuoco a un bidone della spazzatura, soffiando sulle braci appena accese. Ne esce una grande nuvola di fumo puzzolente, sulla quale un fotografo tenta di scaldarsi le mani. Poi i giovani guidano la folla verso la strada, incitando al corteo spontaneo, immediatamente bloccato dalla polizia.

* Fonte/autore: Filippo Ortona, il manifesto