L’Ucraina dialoga con la Cina, dall’Est Europa sì alle armi no al grano
Il processo della ricostruzione deve essere intrecciato, secondo il governo italiano, a quello dell’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e alla sua integrazione nel mercato comune. Ecco il punto dell’ambiguità. Perché quello che avviene in realtà sul terreno dei rapporti tra Ucraina ed Unione europea mostra invece una realtà a dir poco opposta
Il ritorno sulla scena del conflitto ucraino della diplomazia cinese segna la giornata di ieri tra le più importanti per chi pensa ad una soluzione negoziata della crisi che si è ufficialmente aperta con l’invasione russa dell’Ucraina un anno e due mesi fa.
L’attesa telefonata di Xi Jinping è stata per Zelensky «lunga e significativa» accompagnata anche del rilancio degli scambi bilaterali con la nomina dell’ambasciatore ucraino a Pechino; per parte sua Xi ha insistito sulla linea cinese: «Il dialogo e il negoziato per la pace sono l’unica via d’uscita praticabile», aggiungendo che «non ci sono vincitori in una guerra nucleare», con chiaro monito per una crisi appesa all’uso sfrenato di armi sempre più micidiali e che rischia la «linea rossa» dell’atomica; e ribadendo, nonostante che Pechino non abbia messo sanzioni a Mosca e anzi difenda il rapporto «indistruttibile» con la Russia, che «il rispetto reciproco di sovranità e integrità territoriale è la base politica delle relazioni Cina-Ucraina».
Positive ma fredde le reazioni di Mosca e di Washington, ma l’avere allacciato questo dialogo è probabilmente una svolta nei rapporti internazionali appesi alla guerra ucraina, e anche al confronto, per ora solo di teatro, Usa-Cina per la crisi di Taiwan.
Di altro segno, se non opposto, la conferenza bilaterale tra Italia e Ucraina per la ricostruzione della martoriata Ucraina che si è svolta ieri a Roma. A guerra però non ancora conclusa, e anzi ogni giorno più sanguinosa.
Alla conferenza la premier Meloni ha portato come interlocutori del dividendo di guerra che si apre, ben 600 aziende italiane. «Parlare della ricostruzione dell’Ucraina – dice Meloni – significa scommettere sulla vittoria e la fine del conflitto, e sono sicura che il futuro dell’Ucraina sarà di pace, benessere e sempre più europeo».
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La vittoria dunque, nonostante che lo stallo sul campo, anche con le reciproche controffensive annunciate, mostri per lo stesso capo di stato maggiore Usa Mark Milley che lo ripete dovunque e comunque instancabilmente, ancora l’impossibilità del prevalere di una parte sull’altra. L’Italia si candida dunque alla leadership della ricostruzione ucraina. Quale messaggio arrivi agli altri partner europei è dubbio, visto che solo Germania e Francia hanno in avvio eguali se non superiori iniziative bilaterali di «ricostruzione», e questo sempre a guerra tutt’altro che finita e con il negoziato di pace lasciato ad «altri».
Comunque il segno vero dell’iniziativa è che il processo della ricostruzione deve essere intrecciato, secondo il governo italiano, a quello dell’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e alla sua integrazione nel mercato comune. Ecco il punto dell’ambiguità. Perché quello che avviene in realtà sul terreno dei rapporti tra Ucraina ed Unione europea mostra invece una realtà a dir poco opposta.
Parliamo della crisi degli accordi del grano. Raggiunti nel luglio del 2022, sembravano impossibili e invece a Istanbul La Russia e l’Ucraina raggiunsero l’accordo che sbloccava le esportazioni di grano ucraino, superando il danno per l’economia ucraina e soprattutto le gravi condizioni di insicurezza e fame in molti paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Attraverso il sempre più militarizzato e decisivo Mar Nero, mentre prima e durante le esportazioni erano continuate via terra nei paesi vicini. È stato l’unico vero negoziato da quando la guerra è iniziata, mediato con coraggio dal segretario dell’Onu Guterres che per questo, hanno rivelato i leaks, è stato spiato dagli Stati uniti che lo hanno accusato di essere stato «troppo morbido con Mosca».
Ieri Mosca ha fatto capire di voler sospendere gli accordi, naturalmente perché vuole che riaprano anche alla possibilità delle sue esportazioni visto il peso delle sanzioni internazionali; la trattativa è aperta e il «morbido» Guterres sembra aprire alla Russia visto che la stessa Ucraina gli chiede di premere perché Mosca rispetti gli accordi. Questo gioco sporco al rialzo lo fa il nemico russo che ha sospeso più volte l’accordo per poi accettarlo di nuovo. Ma intanto gli amici, gli alleati di Kiev invece che fanno?
Fanno peggio. Accade infatti che tutti gli alleati dell’Est Europa dell’Ucraina in guerra siano ben più disposti all’invio di armi che non ad importare il grano ucraìno. La crisi è esplosa vistosamente nella prima settimana di aprile con la visita ufficiale di Zelensky a Varsavia, accolto dalla protesta di migliaia di contadini con sfilata di trattori, in piazza contro le importazioni protette, senza dazi e a basso prezzo, del grano ucraino, così forti che si è dimesso il ministro dell’agricoltura.
La protesta polacca è poi continuata con un comizio trascinante di Jaroslaw Kaczynsky, leader del partito di destra al governo “Pis” in un centro agricolo, nel quale ha annunciato che Varsavia avrebbe vietato le importazioni ucraine «per difendere gli interessi dei propri cittadini, perché una crisi dalla campagna potrebbe estendersi a tutto il paese».
Così alla fine la Polonia ha annunciato il blocco «temporaneo» e duri controlli per ritardarne le consegne prendendo le difese dei coltivatori – lo storico blocco sociale reazionario dei contadini polacchi – che contestano l’abolizione delle tariffe doganali sul grano ucraino perché fanno crollare i prezzi del grano polacco.
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La mobilitazione dalla Polonia si è estesa a quasi tutto l’Est europeo – quello più a trazione atlantica che Ue – così Bulgaria, Ungheria, Polonia e Slovacchia (la Romania vuole fare lo stesso) hanno annunciato il divieto di importazione di grano ucraino fino alla fine di giugno. I governi chiedono di poter controllare la quantità di merci ucraine che entrano nei loro mercati con container o camion sigillati. Tutte iniziative in aperto contrasto con la solidarietà verso l’Ucraina aggredita e con il diritto europeo: non decidono gli Stati ma la Commissione europea. Che, per risolvere temporaneamente la crisi, ha offerto oltre 150 milioni di euro di aiuti d’emergenza agli agricoltori dell’Est, ma condizionati al ritiro del divieto.
Ci si chiede: ma come è possibile che la Polonia, con il suo seguito che va ben oltre Visegrad, capofila e hub strategico dell’invio di armi a Kiev dall’Occidente neghi invece la solidarietà sull’importazione del grano ucraino? Quale futuro europeo viene realmente assegnato all’Ucraina, il cui ingresso nell’Ue viene a parole caldeggiato come ieri a Roma, se le sue esportazioni , adesso in piena guerra ma immaginiamo che scoppi la pace – non solo vengono ostacolate dal nemico russo ma sabotate dagli alleati, a quanto pare solo per le armi?
* Fonte/autore: Tommaso Di Francesco, il manifesto
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