Rapporto IPBES. «500mila specie a rischio entro il secolo»

by il manifesto | 22 Aprile 2023 9:40

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La Piattaforma intergovernativa di politica scientifica stila una nuova classifica di valori

 

Chi ha mai visto la tigre della Tasmania? E l’uccello dodo? E il lupo di Sicilia? Nessuno che sia vissuto dopo il XVI secolo, perché sono specie estinte come almeno altre 680 razze di vertebrati. I motivi sono i più disparati, di sicuro hanno influito le attività umane, dalle migrazioni all’agricoltura e all’allevamento.

Ma ora siamo nel pieno della «sesta estinzione di massa» delle specie animali e vegetali, dopo quelle precedenti causate da eventi cosmici e planetari, tra le quali quella più nota che portò all’estinzione dei dinosauri, 65 milioni di anni fa.

È quanto hanno dedotto 82 esperti di scienze sociali, economiche e umanistiche dell’Ipbes, la «Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici», massima autorità scientifica mondiale in tema di biodiversità, analizzando le tendenze globali della natura.

Nell’ultimo rapporto, dal titolo Assessment Report on the Different Value and Valuation of Nature, presentato ieri a Roma in una conferenza organizzata dall’Ispra presso la sede italiana del Parlamento Europeo, l’Ipbes avverte: circa un milione di specie animali e vegetali (un quarto di quelle conosciute) è a rischio d’estinzione. Di queste specie, il 50% potrebbe estinguersi entro la fine del secolo in corso. Almeno mille sono minacciate nell’immediato.

Le hanno chiamate «dead species walking», le circa 500 mila specie animali e vegetali che ancora si muovono sulla terra ma che, a causa di sovra-sfruttamento, inquinamento, cambiamenti climatici e diffusione di specie aliene al loro habitat e invasive, nel lungo periodo potrebbero non sopravvivere.

Nell’insieme, spiegano gli esperti, se il 9% di tutte le specie di mammiferi allevati per l’alimentazione o l’agricoltura sono state portate all’estinzione in questi ultimi secoli, il 25% delle specie animali e vegetali è minacciato di estinzione totale.

In particolare tra qualche generazione umana sulla Terra potrebbe sparire oltre il 40% delle specie di anfibi, quasi il 33% dei coralli che formano la barriera corallina e dei mammiferi marini, e almeno il 10% degli insetti.

In sostanza, spiegano gli esperti, negli ultimi cento anni l’abbondanza media di specie autoctone, nella maggior parte degli habitat terrestri, è diminuita di almeno il 20%. Troppo rapidamente. Infatti, sulla base dei dati disponibili, gli scienziati indicano che gli attuali tassi di estinzione delle specie in natura sono da cento a mille volte superiori alla media delle estinzioni della storia del pianeta.

Analizzando poi le biomasse, l’Ipbes asserisce che quella dei mammiferi selvatici è diminuita dell’82% e, secondo uno studio recente, il 94% della biomassa dei mammiferi terrestri oggi viventi è rappresentata da esseri umani (36%) e animali domestici (58%).

E allora, per aiutare la politica a comprendere meglio le azioni da intraprendere per salvaguardare il più possibile la wilderness, il Rapporto fornisce una classificazione nuova e più completa dei valori della natura e di come diverse visioni del mondo e diversi sistemi di conoscenza influenzano il modo in cui le persone interagiscono e apprezzano la natura.

Il rapporto presenta quattro prospettive generali: vivere della natura (la capacità della natura di fornire risorse per sostenere i mezzi di sussistenza, i bisogni e i desideri delle persone, come cibo e beni materiali; vivere con la natura (concentrarsi sulla vita «diversa da quella umana»); vivere nella natura (l’importanza della natura come ambiente per il senso del luogo e dell’identità delle persone); vivere come natura (vede il mondo naturale come una parte fisica, mentale e spirituale di se stessi).

Non basterà a salvare quelle specie animali e vegetali in via di estinzione entro il secolo, ma potrebbe aiutare a cambiare il paradigma di interazione tra l’uomo e la madre Terra.

* Fonte/autore: il manifesto[1]

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