IL PRIMO TENTATIVO era iniziato con il plebiscito del 25 ottobre 2020 e con un 78% di voti favorevoli a cambiare la Costituzione del 1980, ereditata dalla dittatura, poi confermato dall’elezione dei membri della Convenzione, il 15 e 16 maggio 2021, con numerose figure indipendenti, provenienti dai movimenti sociali e dalla società civile. La Costituzione che hanno scritto, osservata attentamente in tutto il mondo per le sue caratteristiche progressiste, è stata però scartata bruscamente con il plebiscito finale il 4 settembre scorso. Il 61% degli aventi diritto ha rifiutato il testo costituzionale elaborato durante un anno intero dai 155 rappresentati eletti.

L’ATTUALE PROCESSO costituente è cominciato subito dopo, quando il presidente Boric ha riunito le Camere alla ricerca di un accordo per riproporre alla cittadinanza il cambio della Costituzione, tassello fondamentale della sua agenda di governo. Questa volta però i candidati appartengono tutti ai partiti politici seduti nel Congresso, sono solo 50 i “consiglieri” scelti con il compito di votare un progetto di Costituzione già preparato da una Commissione di Esperti che sta lavorando da marzo, a sua volta selezionata dallo stesso Congresso e che vede, tra le sue fila, vecchi volti della politica cilena e perfino figure legate alla dittatura di Pinochet, come Hernán Larraín Fernández, chiamato a presiedere l’inizio dei lavori della Commissione e fortemente criticato dalle organizzazioni per i diritti umani.

Questa domenica nel comune della Pintana, territorio di estrazione popolare nella periferia sud della capitale, la maggior parte delle persone stava ancora decidendo per chi votare mentre aspettava in fila davanti alle urne. «Non ho trovato un candidato che mi rappresenti» dice Ana María, di 31 anni. «Sono venuta a votare perché è obbligatorio, non tanto per convinzione» aggiunge, non è molto interessata al nuovo processo costituente perché sente che la politica è sempre manipolata. Al contrario Rodrigo, 41 anni, ritiene importante questa elezione perché «qui si decide il futuro del Paese», però allo stesso tempo ammette: «Non ho fiducia in questo processo costituente». Nemmeno lui ha ancora scelto il suo candidato.

ALLE URNE si è presentato l’84% degli aventi diritto, una novità per un Paese come il Cile, dove storicamente l’affluenza è bassa. Ma l’effetto del voto obbligatorio ha portato molte persone a votare senza sapere per chi. Priscila, 37 anni, non sarebbe andata a votare, «non sono informata, non ne ho avuto il tempo però non mi sembra che sia circolata molta informazione in generale».
Il vincitore assoluto del nuovo Consiglio Costituente è stato il Partido Republicano, di estrema destra e rappresentato da Antonio Kast, che si era conteso il governo del Cile con Gabriel Boric nelle ultime elezioni presidenziali. Con 22 seggi su 50, è stato il partito più votato, nonostante si presentasse da solo, e può ora allearsi con la coalizione della destra tradizionale, che ha ottenuto altri 11 seggi: insieme raggiungono la maggioranza assoluta, non avranno bisogno quindi di negoziare gli articoli della nuova Carta con la coalizione di governo, che ha ottenuto 17 seggi, né con i partiti della storica Concertación, che sono rimasti senza nemmeno un rappresentante.

LA COMPOSIZIONE dell’anteriore Convenzione costituzionale mostrava una fotografia opposta: il Partido Republicano non aveva ottenuto neanche un seggio, e in generale il risultato dei partiti politici era stato inferiore a quello delle liste indipendenti. Nel voto di domenica influisce anche il malessere per l’inflazione e la precarietà lavorativa lasciata dalla pandemia, ma soprattutto un giudizio negativo della gestione dell’attuale governo Boric, che ha ormai abbandonato una narrativa politica propria per fare sua l’agenda securitaria della destra.

SECONDO LO STORICO e accademico Sergio Grez, le cause di questo risultato si comprendono solo se si osserva tutto il processo politico recente del Cile a partire dalla rivolta sociale del 2019. «Il fracasso del primo percorso costituente era scritto nel dna dell’Accordo per la Pace che ne stabiliva le regole, firmato a porte chiuse dai partiti allora rappresentati al Congresso» ricorda prima di analizzare il presente: «Il processo attuale è una versione più conservatrice e reazionaria: la casta politica ne ha il controllo dall’inizio alla fine. Non solo il Consiglio che si è eletto domenica si limiterà ad accogliere o rifiutare il testo proposto dagli esperti, ma è previsto anche un Comitato tecnico di ammissibilità, che controllerà se gli articoli approvati sono compatibili con 12 basi costituzionali già stabilite e immodificabili. Tutto questo è antidemocratico, è la negazione del diritto alla libera determinazione, è la negazione del potere costituente originario».
Per queste ragioni Sergio Grez è uno dei firmatari dell’appello al voto nullo che è circolato nelle settimane precedenti alle elezioni, con l’appoggio di numerosi accademici e collettivi politici e sociali. Anche due deputati e un senatore si sono posizionati pubblicamente per il voto nullo, perché questo processo costituente di fatto non permette di decidere nulla alla popolazione. «La nuova Costituzione è la reazione delle classi dominanti e della casta politica alla rivolta popolare dell’ottobre 2019» conclude Grez.

OLTRE ALL’IMPENNATA di consensi all’estrema destra, fenomeno ormai riconoscibile in diversi Paesi tra cui l’Italia stessa, questa elezione mostra un dato che la stampa cilena si è assicurata di nascondere: hanno votato nullo oltre 2 milioni di persone, il 17% del totale, un numero che sfiora il risultato della coalizione della destra tradizionale (21%), dopo il Partido Republicano (35%) e dopo la coalizione di governo (28%). Se in soli tre anni i repubblicani hanno spostato l’intero asse politico verso destra, sull’altro versante cresce l’indignazione e uno scontento che potrebbe trasformarsi in un altro rifiuto del nuovo testo costituzionale, che andrà a plebiscito in dicembre.

* Fonte/autore: Susanna De Guio, il manifesto