Israele. Khader Adnan morto in carcere in sciopero della fame

by Michele Giorgio * | 3 Maggio 2023 9:03

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Il detenuto che digiunava da 86 giorni contro la cosiddetta detenzione amministrativa praticata da Israele è spirato nella notte tra lunedì e martedì. La sua organizzazione, il Jihad islami, vuole vendicarlo. Israele minaccia campagna militare

 

Khader Adnan non era il leader del Jihad islamica come hanno detto e scritto in tanti. Piuttosto era diventato un simbolo di «sumud» (resilienza) per la sua organizzazione e tutti i palestinesi. Più di ogni altra cosa, Adnan era uno dei mille palestinesi – su un totale di circa cinquemila prigionieri politici – incarcerati in Israele che non subiranno un processo e non conosceranno il motivo ufficiale del loro arresto. Khader Adnan, 45 anni, di Arrabe (Jenin), padre di nove figli, è morto nella notte tra lunedì e martedì nella prigione di Nitzan (Ramle) dopo un lungo sciopero della fame: 86 giorni. Per lui ieri, tra i palestinesi, gli aggettivi si sprecavano: eroe, martire, combattente. Ma alla storia Adnan passerà per la sua battaglia contro la «detenzione amministrativa» praticata da Israele che lo scorso 5 febbraio lo aveva costretto ancora una volta ad entrare in una cella senza processo.

Contro di questa forma di «custodia cautelare», potenzialmente a tempo indeterminato, eredità del Mandato britannico sulla Palestina (1917-48) che Israele continua ad impiegare quasi esclusivamente contro i palestinesi sotto occupazione militare, Adnan ha speso gli ultimi anni della sua vita. E lo ha fatto usando l’unica protesta possibile, lo sciopero della fame. Per ben cinque volte: 25 giorni nel 2004; 67 nel 2012; 54 nel 2014; 25 nel 2021. Martedì è diventato il primo prigioniero politico palestinese a morire per uno sciopero della fame in Israele dal 1992. Altri sei detenuti, aggiungono fonti palestinesi, erano morti in circostanze simili nel 1970, all’inizio degli anni ‘80 e nel 1992.

Per giustificare la detenzione di Adnan, le autorità israeliane insistono sulla sua appartenenza al Jihad islami e i media israeliani aggiungono che il detenuto aveva espresso in maniera pubblica sostegno alla lotta armata. Ma Khader Adnan questa volta come altre volte precedenti non è stato processato. Contro di lui non sono state mosse accuse precise in linea con una forma di detenzione che mira prima di tutto a «togliere dalla circolazione» per mesi, in alcuni casi per anni, un palestinese ritenuto scomodo o pericoloso senza che l’intelligence produca le prove di suoi «reati». Contro questa pratica che prima i britannici e poi gli israeliani hanno impiegato contro i palestinesi – molto rari sono i casi di cittadini israeliani posti in detenzione amministrativa – si sono espressi nel corso dei decenni attivisti, giuristi, personalità di spicco, centri per i diritti umani internazionali e locali senza ottenere alcun risultato.

La salute di Adnan era peggiorata rapidamente nelle ultime settimane. La famiglia aveva avvertito che stava morendo e che era a rischio di un infarto a causa dei suoi passati scioperi della fame che lo avevano portato più volte sull’orlo della morte. Le autorità israeliane si sarebbero rifiutate di trasferirlo in ospedale ad aprile, dopo che si era aggravato, sebbene avesse bisogno immediato di terapie mediche. E sostengono che il detenuto «aveva rifiutato di sottoporsi a esami clinici». Il tribunale militare di Salem aveva sommariamente esteso per due volte l’ordine di detenzione amministrativa di Adnan e il 23 aprile gli ha negato la libertà su cauzione. Il 1° maggio, il giudice d’appello del tribunale militare ha rinviato la sua decisione per altri 10 giorni. Il Consiglio delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani (PHROC) parla perciò di «lenta uccisione» e di «omicidio premeditato» di Khader Adnan. La moglie Randa Musa attacca non meglio precisate parti palestinesi che «non avrebbero fatto nulla di concreto per fermare la lenta morte» del marito. Parole che, con ogni probabilità, sono rivolte all’Autorità nazionale palestinese (Anp) che non si è attivata per far liberare Adnan. Da parte sua il primo ministro dell’Anp Muhammad Shtayyeh ha accusato le autorità israeliane di aver «commesso un assassinio» e il ministero degli esteri ha chiesto una indagine internazionale sulle circostanze del decesso del prigioniero. Il Jihad islami ha avvertito che la morte di Adnan non resterà impunita. Manifestazioni e raduni di protesta si sono svolti in Cisgiordania e Gaza dove è stato proclamato uno sciopero generale.

Le ore successive alla morte del detenuto sono state una lenta e sempre più ampia escalation militare. I lanci di razzi da Gaza verso Israele da parte del Jihad, Hamas e altre organizzazioni, sono stati prima sporadici poi più continui. 22 in totale fino a ieri sera, alcuni dei quali sono caduti a Sderot e in altri centri abitati senza fare danni alle persone. Israele ha colpito Gaza con l’artiglieria e l’aviazione quindi, attraverso i suoi comandi, ha annunciato che la sua reazione si sarebbe fatta più dura con il passare delle ore. Poco alla volta i tamburi di guerra hanno preso il sopravvento e della detenzione amministrativa, condannata dal diritto internazionale perché viola i diritti umani, non ha parlato quasi più nessuno.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto[1]

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