Giustizia climatica. Domani in piazza a Bologna, in ottobre congresso a Milano

Giustizia climatica. Domani in piazza a Bologna, in ottobre congresso a Milano

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Verso il World Congress for Climate Justice (Wccj) che si terrà dal 12 al 15 Ottobre 2023 a Milano all’università Statale e al Leoncavallo. E sabato 17 giugno a Bologna alla manifestazione in sostegno del popolo alluvionato dell’Emilia Romagna

 

In un paese dove se getti pesticidi e cemento sei premiato per avere alzato il Prodotto Interno Lordo, mentre se versi vernice solubile nelle fontane per chiedere il cambiamento vieni messo in galera, la schizofrenia e la demenza sono alle stelle. Dobbiamo abbandonare tutto ciò che stiamo facendo e concentrare tutte le nostre energie nella costruzione di un fronte climatico che porti a un vero rinnovamento e cambiamento radicale.

Per questa ragione stiamo lavorando alla creazione del World Congress for Climate Justice (Wccj) che si terrà dal 12 al 15 Ottobre 2023 a Milano all’università Statale e al Leoncavallo. Il quartier generale del congresso mondiale saranno i chiostri dell’università grazie al sostegno politico e organizzativo del collettivo Ecologia Politica Milano. Abbiamo deciso di dedicare la prima giornata del congresso ad un grande gesto di immaginazione, convocando artisti e mondo della cultura con l’Institute of Radical Imagination e il Lab of Insurrectionary Imagination di Isabelle Fremeaux e Jay Jordan per scrivere un manifesto di ecologia radicale e creare pratiche di sovversione della narrazione dominante.

Nei giorni seguenti il programma entrerà nel vivo con i seminari e le assemblee tematiche ai quali parteciperanno decine di delegazioni dai principali movimenti di giustizia climatica del pianeta. Oltre al Bologna for Climate Justice e al Torino Climate Social Camp, al Venice Climate Camp e al Centro Jean Monnet dell’Università di Padova, abbiamo invitato Ende Gelaende, l’ensemble che si è battuto in Germania per la chiusura delle miniere di carbone come a Luetzerath; gli Zadisti di Soulèvements de la Terre che stanno lottando contro l’accaparramento delle risorse idriche a Sainte-Soline e altrove in Francia; Defend the Atlanta Forest che si batte contro la costruzione di Cop City; Climaximo dal Portogallo, dall’Uganda è arrivata l’adesione del Rise Up Movement che si batte contro l’oleodotto Eacop, Futuros Indigenas dal Sud America. E tanti altri per cercare di costituire la Prima Internazionale dell’anticapitalismo climatico.

Questa prospettiva si inserisce nella storia lunga dei movimenti ambientalisti che, anche in Italia, hanno lottato per la messa in sicurezza del patrimonio paesaggistico contro l’insensato modello di crescita neoliberale.

Torniamo con la memoria agli anni appena successivi alla vittoria referendaria contro la privatizzazione dell’acqua, da cui nacque il movimento dei beni comuni italiani. Erano gli anni in cui contestammo a Milano con la piattaforma NO EXPO un evento globale falsamente titolato alla sostenibilità climatica e alimentare, ma volto alla speculazione immobiliare, a far colare altro cemento, inquinare le falde, sollevare polvere, e rendere i terreni meno drenanti. Erano gli stessi anni in cui la più grande mobilitazione italiana in difesa del territorio sabotava quotidianamente i cantieri sotto la bandiera NO TAV per bloccare l’inutile linea ferroviaria ad alta velocità fra Torino e Lione. Sempre negli stessi anni a Venezia il comitato No Grandi Navi si tuffava in acqua con canotti e salvagenti gonfiabili per vietare alle navi da crociera l’ingresso nel delicato ecosistema della laguna.

In quella stagione i NO TAP difendevano i territori pugliesi contro il Gasdotto con cui l’Europa voleva far rifornimento in Azerbaijan. E nella vicina Taranto gli operai dell’ILVA si erano stufati di morire in massa di cancro per la più grande acciaieria inquinante d’Europa. Ancora in quegli anni il movimento NO MUOS siciliano indicava che l’Europa stava militarizzando il suo territorio preparandosi ad affrontare quel tipo di catastrofe climatica che solo la guerra sa portare.

Tutto ciò sorge e ribolle prima della grande ondata dei movimenti per il clima del 2018, con Friday For Future, Extinction Rebellion e poi Ultima Generazione. Movimenti di massa globali di giovani che hanno cominciato a porre la questione sullo stesso piano dei grandi organi di governance globale, con un messaggio semplice e definitivo: non c’è più tempo, dobbiamo cambiare sistematicamente il modello produttivo interrompendo drasticamente il consumo di combustibili fossili. Qualsiasi temporeggiamento scatenerà su questa generazione conseguenze drammatiche e catastrofiche.

Poi vennero il virus, le onde di calore, le foreste in fiamme, le crisi idriche e le alluvioni.
Nel frattempo in molti hanno deciso di fare quitting climatico, e cioè di non stare più in città inquinate a fare lavori inutili e di merda. I contadini hanno occupato le terre di Mondeggi bene comune in Toscana, e reti come Campi Aperti, Genuino Clandestino, Fuorimercato, ARI hanno cominciato a coltivare in modo non intensivo e distribuire in modo solidale. Nel frattempo è cresciuto il movimento antispecista italiano che in modo radicale si oppone alla supremazia dell’uomo sulle altre specie animali, entrando nel dibattito pubblico e legislativo come nel caso della lotta a fianco degli orsi di Stop Casteller. E ancora gli operai di GKN occupano la fabbrica rifiutando di essere servi di un piano industriale inquinante e ecologicamente insostenibile, scendendo in piazza con le studentesse e gli studenti climattivisti.

Stiamo costruendo questo congresso per dire al mondo le cose più ragionevoli: che non è solo sbagliato ma è impensabile che in una Romagna distrutta dalla violenza dell’alluvione si debba rispondere con la costruzione di altri rigassificatori o altro cemento per raccordi autostradali. Così come in Lombardia e nel Veneto cementificare l’area verde dello scalo di Porta Romana a Milano e sventrare con impianti sportivi altre valli delle già umiliate Dolomiti, prive di ghiacci e riserve idriche, con la scusa delle Olimpiadi invernali 2026. Così come è insensato pensare di rafforzare la militarizzazione del territorio con una nuova base militare a Coltano, come avamposto di quella logica guerrafondaia per cui è appena esplosa una delle dighe più grandi d’Europa, provocando un’onda alluvianale fatta di rifiuti tossici e mine che sta causando una catastrofe ecologica senza precendeti nel territorio del Mar Nero.

Siamo nell’occhio di questo ciclone storico, e facciamo quasi fatica a metabolizzare gli eventi catastrofici che si susseguono sempre più a stretto giro. L’Europa continentale, la Gran Bretagna e su fino alla penisola scandinava percepiscono forse in modo più mite l’impatto di questo cambiamento. Forse. Ma le zone dell’Africa, del medio oriente e tutto il sud dell’Europa con al centro l’Italia sono di sicuro i territori dove diverrà sempre più difficile, insostenibile, violento e precario poter vivere. Le migrazioni non potranno che aumentare tanto più questi territori si dimostreranno invivibili per lo stesso numero di persone che ora ospitano.

Sono questi i temi e i soggetti che sono confluiti nel World Congress for Climate Justice. Costruire un consesso mondiale nell’emergenza climatica significa anche essere un laboratorio permanente di mobilitazione. Per questa ragione rivolgiamo l’invito a partecipare sabato 17 Giugno a Bologna alla manifestazione in sostegno del popolo alluvionato dell’Emilia Romagna, trasformata in palude, dopo inverni di siccità e ondate di calore. Persone che hanno subito le conseguenze di un territorio devastato dalle politiche neoliberali. Non chiedono solo aiuto e solidarietà nella tragedia, ma sostengono che bisogna ricostruire subito in modo ecologico.

* Fonte/autore: Emanuele Braga, il manifesto



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