«CI RENDIAMO conto della gravità della decisione e degli effetti che potrà avere su milioni di vite», ha dichiarato la presidente Fran Drescher dalla sede del sindacato Sag-Aftra su Wilshire boulevard a Los Angeles. «Pensavamo sinceramente di poter trovare un accordo ed evitare lo sciopero». L’attrice nota come interprete della sitcom The Nanny (La Tata), ha tuttavia accusato la controparte Amptp, la confederazione dei produttori, di aver provocato la rottura, rifiutando ogni compromesso sulle richieste avanzate per un nuovo contratto. «La sfacciataggine con cui affermano di non poterci venire incontro mentre pagano i loro dirigenti centinaia di milioni di dollari è semplicemente disgustosa» ha affermato Drescher, che ha raggiunto il picchetto davanti alla sede Netflix fra gli applausi. Il sindacato rappresenta circa 160.000 attori, di cui il 95% guadagna in media 25.000 dollari all’anno. L’anno scorso i dirigenti di Apple, Netflix, Amazon, Disney, Paramount e Comcast complessivamente sono stati retribuiti oltre 280 milioni di dollari e le loro società hanno realizzato utili per 115 miliardi di dollari.

LA ROTTURA fra le parti al momento sembrerebbe incolmabile, secondo Anthony Rapp, parte del comitato dirigente Sag-Aftra, i produttori avrebbero perfino cancellato la riunione che era stata convocata in extremis il giorno della scadenza del contratto. Non ha aiutato che Bob Iger, presidente Disney con un salario di 25 milioni di dollari, abbia definito «semplicemente non realistiche» le richieste degli attori. Ad avvelenare definitivamente il pozzo della negoziazione è stata poi la dichiarazione, largamente riportata la scorsa settimana, di un anonimo produttore che sosteneva la linea dura contro gli sceneggiatori, «vedremo quando cominceranno a perdere le loro case, se non scenderanno a patti». Come se non bastasse, molti capi degli studios nel primo giorno di sciopero si trovavano riunti in un resort di lusso in Idaho per una conferenza annuale in stile Davos dove Iger (Disney), Ted Sarandos (Netflix), David Zaslav (Warner Discovery) e molti altri sono stati ritratti in battute di caccia dopo aver raggiunto Sun Valley in un ingorgo di jet privati.

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Il contenzioso non poteva dunque iniziare con toni più stridenti, già palpabili sui picchetti iniziati venerdì, con molto senso di «story», il giorno della Bastiglia. A dare manforte ai presidi degli scioperanti sono apparsi anche grandi nomi. Susan Sarandon era davanti agli uffici newyorchesi di Netflix e Jason Sudeikis si è unito alla manifestazione sotto 30 Rock, quartier generale della Nbc Universal. Sempre fuori da Netflix, ma sulla costa Ovest, Jane Fonda ha arringato la folla, megafono in mano. «Rimarremo uniti fin quando non riceveremo equità giustizia e rispetto. Mentre i dirigenti nei piani alti sono pagati sempre di più, noi attori riceviamo sempre meno», ha detto, parlando della maggioranza di comparse e comprimari. «Farebbero meglio a prestare attenzione. Noi possiamo bloccare questa industria».

ORA CHE per la prima volta dal 1960 gli attori hanno raggiunto gli sceneggiatori (in sciopero già da maggio), l’industria è effettivamente bloccata, resta solo da capire per quanto. Venerdì, in una riunione Zoom della Iatse (il sindacato delle maestranze che conta 170.000 iscritti), ai membri è stato detto di prepararsi per uno sciopero potenzialmente di «alcuni mesi». Molti lavoratori del cinema sono scritturati per singola produzione. Con lo stop, integranti delle troupe, macchinisti, truccatori, costumisti, scenografi, stuntmen e lavoratori di postproduzione rischiano non solo l’impiego, ma la copertura sanitaria sintomo del precariato sistemico in cui versano sempre più le professioni creative.

A Hollywood e dintorni c’è insomma aria di lotta esistenziale contro un modello industriale importato da Silicon Valley, che col ricorso sempre maggiore a tecnologie algoritmiche e di intelligenza artificiale impone un «fordismo digitale» gestito da grandi oligopoli, in cui la forza lavoro umana è sempre più marginale.

In città la sensazione è che lo sciopero potrebbe facilmente durare fino all’autunno. Sag-Aftra ha già avvertito gli uffici stampa che l’astensione non sarà limitata ai set ma riguarderà anche attività promozionali, dunque interviste, campagne stampa, talk show e presumibilmente festival. Una decisione che non potrà non condizionare, ad esempio, la Mostra di Venezia, prima grande manifestazione internazionale che rischia un forfait delle star americane e possibilmente di registi solidali.

* Fonte/autore: Luca Celada, il manifesto[2]