Guatemala alle urne, torna un Arevalo

Guatemala alle urne, torna un Arevalo

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Il figlio del presidente deposto stravince nei sondaggi. Guerra sporca nei tribunali e alleati inguardabili non bastano alla destra di Torres, al 35%

 

Si respira un’incredibile suspense a Città del Guatemala alla vigilia di questo ballottaggio di elezioni presidenziali che la corrotta oligarchia locale aveva predisposto per uno scontato esito di continuità. Dopo aver infatti arbitrariamente inibito tutte le candidature in odore di sinistra ben in anticipo rispetto al primo turno dello scorso 25 luglio, nel segreto dell’urna era giunto secondo a sorpresa l’unico postulante progressista, lasciato in gara a fare da foglia di fico della reputazione democratica della competizione. Bernardo Arevalo, del Movimiento Semilla (seme), contenderà così oggi la massima carica dello stato con ben 30 punti di vantaggio nei sondaggi sull’esponente conservatrice Sandra Torres dell’Unión Nacional de la Esperanza (65% a 35%).

Bernardo, sociologo, ha dalla sua l’essere figlio di quel lontano Juan José Arevalo che fu presidente per metà del decennio rivoluzionario propiziato dai giovani ufficiali dell’esercito fra il 1944 e il ’54, all’insegna dell’impellenza di una riforma agraria di per sé scevra allora da qualsiasi ispirazione marxista. E che non casualmente fu poi azzerato da un golpe della bananiera United Fruit Co e della Cia.

Paradossalmente le chances di Arevalo (che al primo turno aveva ottenuto appena l’11,8% dei suffragi, 4 punti in meno della sua rivale) sono lievitate via via che la procura della repubblica tentava di tutto per incriminare lui e/o il suo partito per fantasiosi reati e defenestrarlo così dalla disputa. Ma sarebbe stata una tale sfacciataggine agli occhi del mondo che la Corte costituzionale non ha dato il suo avvallo.

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Arevalo ha messo al centro della sua campagna proprio la lotta alla corruzione generalizzata dei padroni “bianchi” di sempre del paese più grande, popolato e “ricco” dell’istmo centroamericano. Oggi entrati in combutta pure con i narcos messicani. Così che fra i suoi principali impegni, in caso di vittoria, ci sarà il rimpatrio di decine di giudici e procuratori che, minacciati per le loro inchieste, hanno dovuto abbandonare il loro paese. Soprattutto dopo lo scioglimento (imposto dall’allora presidente Jimmy Morales) della Commissione internazionale contro l’Impunità costituita dall’Onu dopo gli accordi di pace del 1996.

A questo punto la sua antagonista, Sandra Torres, ex prima dama fra il 2008/2012 del presidente moderato Àlvaro Colom, per cercare di essere in qualche modo competitiva si è alleata con la formazione dell’impresentabile presidente uscente Alejandro Giammattei, attribuendo strumentalmente a Semilla di essere alla testa di pro abortisti e matrimoni gay che oggettivamente, nel mezzo delle disuguaglianze sociali e la disperante povertà, non sono tematiche in cima alle preoccupazioni dei guatemaltechi.

Torres si è poi unita al resto delle entità della destra più radicale, compresi ex militari condannati dall’Onu per crimini di guerra e genocidio della maggioritaria popolazione maya (consumatosi durante la passata e infinita guerra civile con un saldo di 250mila fra vittime e desaparecidos). Per congiungersi infine con esponenti delle sette fondamentaliste evangeliche.

I 300 osservatori internazionali sul posto avranno dunque il loro bel da fare per garantire la regolarità del voto e scongiurare un broglio alla vigilia della potenziale prima affermazione di una sinistra popolare nella storia del Guatemala. Con Semilla che è riuscita a riunire intorno a sé tutte le espressioni politiche superstiti del Guatemala, soprattutto della società civile organizzata, vittime di quello che è assurto a un vero e proprio narcostato.

* Fonte/autore: Gianni Beretta, il manifesto

 

 

PH BY Javier Arango, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons



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