Le donne penalizzate sul lavoro anche se studiano di più

by Adriana Pollice * | 7 Ottobre 2023 10:51

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È il risultato dell’analisi fatta dall’Istat sui dati 2022. La sociologa Saraceno: «L’essere a bassa istruzione per una donna è cruciale perché la espone al rischio di non pensare neanche di cercare un impiego»

L’anno scorso, rispetto al lavoro, è cresciuto lo svantaggio per le donne rispetto agli uomini, per i giovani laureati del Sud rispetto al resto del Paese e per i ragazzi di famiglie con un basso livello di istruzione. A raccontarlo il report Istat «Livelli di istruzione e ritorni occupazionali. Anno 2022». Colpisce, in particolare, il divario femmine – maschi. La quota di donne tra 25 e 34 anni laureate è del 35,5% contro il 23,1% degli uomini, la maggior istruzione non si traduce in un vantaggio lavorativo: il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (57,3% contro 78%).

I differenziali occupazionali si riducono al crescere del livello di istruzione: 32,5 punti per i titoli bassi, 21 per i medi e 7,7 per gli alti. Anche le differenze con la media europea calano: per le laureate il tasso di occupazione è inferiore di 4,7 punti alla media Ue a 27 paesi, differenza pari a circa la metà per i titoli di studio medio-bassi. Lauree nelle aree scientifiche: la quota di uomini è al 34,5% mentre scende al 16,6% tra le donne. Lo svantaggio delle donne raggiunge il massimo nelle lauree Stem, cioè il settore con un alto tasso di occupazione (83,7% per i laureati nell’area socio-economica e giuridica; 86% per le Stem; 88% nell’area medico-sanitaria).

La sociologa Chiara Saraceno: «L’istruzione è essenziale per le donne per entrare e rimanere nel mercato del lavoro ma non è sufficiente per chiudere il gap con gli uomini. Questo in parte dipende dalla divisione del lavoro, dalla mancanza di strumenti di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e da modelli di genere ancora rigidi. In parte dipende dal fatto che nonostante le donne abbiano chiuso il gender gap sull’istruzione dalla fine degli anni Settanta e oggi studino più a lungo dei loro coetanei, resta ancora una distribuzione nei percorsi di studio fortemente connotata in termini di genere».

Quindi è anche un problema da porre al sistema universitario: «Alcune facoltà si sono desegregate – spiega Saraceno – come Sociologia e più recentemente Economia. Altre no. Le lauree più deboli sul mercato del lavoro sono proprio quelle in cui c’è maggiore concentrazione femminile, anche perché i lavori percepiti come femminili spesso sono svalutati, come il lavoro di cura o l’insegnamento. Settori invece che andrebbero valorizzati. Il fatto che solo il 16% scelga le lauree Stem è una condizione tutta italiana. Da noi persiste lo stereotipo che le materie scientifiche non sono adatte o non piacciono alle donne. Questo rafforza i pregiudizi a cui vanno incontro quelle che rompono gli schemi, esiste infatti il timore che i colleghi non le accettino. Anche quelle che hanno una formazione scientifica poi si ritrovano messe in secondo piano».

La condizione peggiora se si guarda ai livelli di istruzione più bassi: «Tra chi non cerca lavoro e non studia, sono di più le donne. Sono quelle su cui non si è investito in formazione perché, tanto, si sarebbero sposate. L’essere a bassa istruzione per una donna è cruciale perché la espone al rischio di non pensare neanche di entrare nel mercato del lavoro. Oltre che a uscirne se forma una famiglia perché ha un impiego non soddisfacente e molto poco remunerativo. Dipendenza dalla famiglia e rischio povertà sono le possibili conseguenze».

Come si esce da questa distorsione? «Bisogna lavorare sugli stereotipi a partire dalla scuola, ma anche nella comunicazione pubblica, e fare azioni di rafforzamento. Ad esempio, gli insegnanti di matematica non dovrebbero valorizzare solo i maschi ma cercare di interessare l’intera classe. Nel Pnrr c’era anche il contrasto agli stereotipi e l’incoraggiamento delle donne nelle materie Stem ma non so se questo tema sia poi sparito – conclude Saraceno -. Bisogna andare a pescare tutte le ragazze che abbandonano precocemente gli studi. Bisogna dare alle bambine l’idea che l’istruzione è fondamentale per la loro interezza come cittadine ma anche per le loro possibilità nel mercato del lavoro».

* Fonte/autore: Adriana Pollice, il manifesto[1]

 

 

 

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