«Ostaggi per ostaggi», le retate israeliane riempiono le carceri

by Chiara Cruciati * | 5 Novembre 2023 9:36

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Giro di vite in Cisgiordania: dei 1.830 nuovi detenuti politici 52 sono donne, 17 reporter, 28 bambini e 30 universitari. Prigionieri anche nelle basi militari. E a chi sta in cella vietati libri, tv e cibo. Visite mediche sospese

 

I soldati israeliani sono arrivati di notte, verso le 1.30. La famiglia dormiva, madre, padre, tre figli piccoli. Hanno sondato la porta, sono entrati nelle stanze con i mitra in braccio. I bambini hanno fatto finta di dormire. Hanno preso Ayman, lo hanno ammanettato davanti alla moglie. Lei, Salma, è pittrice, i militari hanno distrutto un quadro che stava ancora appoggiato sulla tela e un altro appeso al muro.

ERA IL 10 OTTOBRE. Qualche giorno dopo Ayman è stato posto per sei mesi in detenzione amministrativa. Pare che l’accusa si fondi su un post pubblicato su Facebook: esprimeva solidarietà al popolo di Gaza.

Ayman fa il falegname ed è un ex prigioniero politico, si è fatto quattro anni in un carcere israeliano, era stato liberato nel 2019. Quel giorno il suo villaggio, a nord di Betlemme, lo aveva accolto con la tradizionale tenda dei detenuti: qui la famiglia e gli amici hanno atteso il suo arrivo.

«Non sappiamo dove sia detenuto – ci dice il fratello minore, Haitham – Di certo per un periodo si trovava nella base militare vicino alla colonia di Gush Etzion. Non è una prigione, ma una base, significa che i prigionieri stanno sotto delle tende, seduti sulla terra, non in vere celle». La base militare di Gush Etzion non è l’unica usata come prigione.

Si parla anche di una base vicino alla colonia di Ma’ale Adumim, a est di Ramallah. Luoghi isolati, circondati da torrette militari e filo spinato, i prigionieri sono lasciati negli spiazzi della base con temperature che a fine ottobre di giorno non sono scese mai sotto i 28-30 gradi. Di notte calano, l’aria fredda delle deserto la porta un vento sferzante. La Mezzaluna rossa ha chiesto di poter verificare le loro condizioni, se hanno cibo a sufficienza, se hanno materassi. Negato.

Il motivo dell’affollamento è il giro di vite che da un mese tormenta le notti insonni della Cisgiordania occupata: raid nelle città e nei campi profughi e un bilancio medio giornaliero di 30, 40, 50 arresti. «Israele ogni volta dice quanti sarebbero membri di Hamas, dieci, venti – continua Haitham – Gli altri? Chi sono gli altri? Sono ex prigionieri politici, o persone arrestate per un post. Israele cattura a ritmi folli per avere un numero di detenuti maggiore quando dovrà sedersi al tavolo con Hamas per lo scambio di ostaggi». È opinione diffusa, giri di vite in vista del negoziato, ostaggi per ostaggi.

I NUMERI crescono di giorno in giorno, al primo novembre il bilancio si assestava su 1.830 nuovi detenuti tra cui 52 donne, 17 giornalisti, 28 bambini, 30 studenti universitari e 14 membri del Consiglio legislativo palestinese. «Secondo la polizia israeliana, al 24 ottobre 110 arresti sono legali a post sui social – ci spiega Tala Nasir dell’ong palestinese per i prigionieri politici Addameer – Altri 270 sono sospettati di incitamento e sostegno a gruppo terroristico». Lievitano anche i detenuti amministrativi (senza accuse né processo): 295 in più, che portano il totale a 1.614 su circa 7mila prigionieri.

Di tutti gli altri si sa poco. Le organizzazioni per i diritti umani locali e internazionali, tentano di mappare le politiche strutturali dentro cui si realizza l’escalation, pratiche ormai note e riviste dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. In particolare, aggiunge Addameer, il 13 ottobre le autorità israeliane hanno emendato l’Emergency Regulations Act per restringere ancora i diritti dei prigionieri palestinesi, già sottoposti a regime militare e non civile, a prescindere dall’accusa: estensione del potere di emettere mandati d’arresto anche a soldati di basso rango, allungamento dei tempi di pre-detenzione (da 14 a 30 giorni), ampliamento del divieto a vedere un avvocato (da 7 giorni a 21, che il giudice militare può estendere fino a 45).

Con la dichiarazione dello stato d’emergenza, peggiorano le condizioni anche dentro le carceri: «Il parlamento israeliano – continua Addameer – ha emendato anche i regolamenti carcerari che prevedono tra l’altro la possibilità di far dormire per terra i detenuti nel caso di sovraffollamento. Dall’8 ottobre i prigionieri sono stati sottoposti a isolamento e a una serie di misure punitive: sezioni chiuse, confisca di libri e tv, divieto a incontrare avvocati e familiari, aumento delle perquisizioni nelle celle. Il caso più eclatante è quella della sezione femminile della prigione di Damoun: è stata tolta l’elettricità, sono stati usati i lacrimogeni e le detenute sono state private della loro rappresentante, Marah Bakir, trasferita nel carcere di Jalameh prison».

LE CANTINE – dove i detenuti possono acquistare cibo migliore di quello delle mense – sono state chiuse e i pasti ridotti da tre a due al giorno. «Ai malati sono state sospese le cure interne e le visite esterne, anche oncologiche». Un’altra punizione collettiva, invisibile.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto[1]

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