Cile. Dopo due referendum, la Costituzione di Pinochet resta in vigore

Cile. Dopo due referendum, la Costituzione di Pinochet resta in vigore

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La destra più retrograda e la sinistra più imbelle. Finisce nel nulla, con un secondo “no” espresso dalle urne, un processo costituzionale durato due anni

 

Se è noto che il Cile è affetto dalla destra più retrograda del subcontinente latinoamericano, oggi possiamo affermare che possiede anche la sinistra più imbelle e dispersiva.

Lo dimostra la surreale conclusione di due anni di processo costituzionale. L’obiettivo di cambiare la Costituzione di Pinochet espresso dalla mobilitazione popolare del 2019 era stato fatto proprio anche dalla sinistra e dal governo del presidente Gabriel Boric. La bocciatura di domenica del progetto dell’estrema destra del Partito repubblicano – riuscito persino a far peggio dei generali di Pinochet – seguita a quella dell’anno scorso del progetto delle sinistre, fa si che il Cile seguirà per altri anni con la la Costituzione pinochetista.

Tra la ribellione popolare del 2019 – più di 30 civili morti, 460 gravi traumi causati dai proiettili di gomma dei carabinieri – e il referendum di domenica vi è stata un’impressionante accelerazione della congiuntura politica e sociale in una direzione chiaramente antipopolare e antidemocratica. Le speranze dei manifestanti di allora, che il Cile dalla culla del neoliberismo si sarebbe trasformato nella sua tomba, non hanno resistito che a pochi mesi del governo di Boric. Il quale – come scrive l’analista Jeferson Miola – «ha messo tutte le carte della gestione della profonda crisi neoliberista in ricette neoliberiste».

La sconfitta del processo costituente e la sfiducia nelle capacità del governo sono la prima conseguenza di tali scelte scellerate.
È una sconfitta che segue il disastro della vittoria di Javier Milei nelle presidenziali in Argentina. Dove le decisioni prese dal presidente Alberto Fernández in ossequio alle imposizioni del Fmi – secondo Miola – «hanno portato al distacco delle basi sociali ed elettorali del peronismo. E al passaggio quasi automatico di consistenti settori all’estrema destra – senza nemmeno fare un pit stop nella destra tradizionale, quella di Maurizio Macri e compagnia».

Nel suo discorso all’Onu (19/9) il presidente brasiliano Lula sottolineava che «l’estrema destra sorge dalle macerie del neoliberismo». Voleva dire che la sua crisi funziona come «incubatrice» di fascismi e neofascismi contemporanei. Parole che non sono state ascoltate o ben valutate nel cono sud del continente.

Purtroppo, neanche dallo stesso Lula: da un lato il suo governo si è infilato nel labirinto neoliberista assumendo una serie di decisioni nel senso dell’austerità economica e fiscale (con l’ossessione del deficit zero). Dall’altro, invece di cercare di formare «un blocco egemonico capace di portarci al di là della crisi attuale» (Nancy Fraser), Lula appare sempre più ostaggio del sistema di ricatti messo in opera dal Centrão di un Congresso corrotto.

* Fonte/autore: Roberto Livi, il manifesto

 

 

 

ph by simenon simenon, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons



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