Mirafiori in crisi. Per salvarla cade il tabù: «Sì alle auto cinesi»
Senza un secondo produttore l’occupazione attuale non potrà essere garantita
TORINO. L’agonia di Mirafiori – il vecchio gigante dell’auto, un tempo cuore pulsante di Torino e dell’Italia – corre su un piano inclinato da almeno vent’anni, con un deciso aggravarsi negli ultimi dieci. Quelli seguiti al referendum del 2011, con l’uscita dal contratto nazionale di categoria, e che sono stati caratterizzati dal fallimento di “Fabbrica Italia” di Marchionne ed Elkann e dal disimpegno progressivo del gruppo Stellantis.
SE FINO AI PRIMI ANNI 2000, lo storico stabilimento produceva 200mila autovetture con sei tipi di modelli, ultimamente Mirafiori non raggiunge le 100mila: nel 2023, 78mila unità per la Fiat 500e, la versione elettrica dell’auto-icona, e solo 8.700 per i modelli a marchio Maserati che avrebbero dovuto trainare il fantomatico «polo del lusso». Se fino al 2008 in questo immenso perimetro oltre corso Giovanni Agnelli lavoravano 21mila persone ora se ne contano 15mila, un calo del 29%. Numeri preoccupanti e insufficienti per garantire la sua sopravvivenza.
Una situazione grave che ha spinto Fiom, Fim e Uilm a una prima iniziativa unitaria dopo tredici anni di divisioni. Hanno lanciato un appello all’azienda per «preservare e rilanciare Mirafiori, lo stabilimento che più di tutti in questi anni ha pagato il prezzo della crisi e dei mancati investimenti» con quattro precise richieste. Rompendo anche il tabù del produttore automobilistico unico: «A Torino deve arrivare un altro costruttore. Nessun pregiudizio sui cinesi purché rispettino le regole europee e italiane. Soltanto attraverso il rilancio di Mirafiori l’indotto può riprendere a camminare», affermano i sindacati. La crisi sta trascinando tutto l’indotto, come nel caso della Lear di Grugliasco che produce sedili per auto e il cui futuro è ancora a rischio.
I sindacati chiedono di «assegnare nuovi modelli in grado di garantire la missione produttiva», in particolar modo del segmento B e C, le ex utilitarie. Poi, di «affrontare la crisi anagrafica della forza lavoro Stellantis, la cui età media si attesta a 56 anni», nei prossimi sette anni il 70% degli operai delle carrozzerie andrà in pensione. Inoltre, sollecitano il gruppo a «implementare la produzione di componentistica legata alla produzione e allo sviluppo delle vetture ecologiche», elettriche e a idrogeno. E, infine, ritengono si debba «potenziare il ruolo strategico di Torino come polo di ricerca e progettazione», dato che nell’area degli Enti centrali è previsto un restyling con il progetto Green Campus.
«Se siamo insieme allo stesso tavolo vuol dire che la situazione di Torino e di Mirafiori è molto difficile e complicata. Non è sufficiente smontare parti delle auto (in riferimento all’hub di circular economy presentato da Stellantis, ndr) o fare un maquillage della palazzina degli impiegati, servono nuove produzioni, abbiamo bisogno di volumi produttivi», sottolinea Edi Lazzi, segretario della Fiom torinese. «Uno stabilimento tale – spiega – può oggi sopravvivere con 200mila unità di veicoli l’anno. Senza nuovi modelli, senza assunzioni e con dosi massicce di cassa integrazione, si porta Mirafiori all’eutanasia. Non dichiarerebbero mai la chiusura, perché scoppierebbe la rivoluzione, la porterebbero a consunzione. Ecco perché c’è bisogno di un rilancio».
SULLA POSSIBILITÀ CHE ARRIVINO a Torino nuovi costruttori i sindacati non si sbilanciano, il riferimento alla Cina è automatico, essendo diventata leader globale nel settore dei veicoli elettrici. «Il tabù non ci deve essere per nessuno, tanto i cinesi andrebbero altrove. L’importante è che portino lavoro», dichiara Luigi Paone, segretario della Uilm torinese. «Il concetto – aggiunge Lazzi – è rompere il tabù del monopolio, che ora è di Stellantis e che è in fin dei conti una multinazionale francese. Le istituzioni locali facciano scouting, a Torino le auto le sappiamo fare bene da 120 anni». Per Rocco Cutrì, leader della Fim Cisl, «serve un atto di grande responsabilità, è il momento di rivendicare il ruolo di Torino e di chiedere conferme, coinvolgeremo le istituzioni, le imprese, i sindacati confederali».
* Fonte/autore: Mauro Ravarino, il manifesto
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