Afghanistan. Dopo la guerra, l’esproprio: l’Occidente si tiene nove miliardi

Afghanistan. Dopo la guerra, l’esproprio: l’Occidente si tiene nove miliardi

Loading

Afghanistan. Punizione collettiva. I fondi della Banca Centrale usati anche per coprire i risarcimenti dell’11 settembre. Che non c’entra nulla

 

La situazione dell’Afghanistan si è aggravata anche per la riduzione degli aiuti esterni che sostenevano i regimi anti talebani. Londra ha tagliato il suo bilancio del 76%, Berlino del 93%. Un paese che stava in piedi col denaro dei suoi alleati ha visto ridurre drasticamente il flusso di valuta. Logico immaginare che, dopo aver lasciato l’Afghanistan, gli Usa e i suoi alleati volessero smettere di finanziarne le casse statali.

Ma se la riduzione o l’azzeramento era nelle cose, vari paesi occidentali – tra cui l’Italia anche se per una piccolissima percentuale – hanno arbitrariamente sequestrato 9,1 miliardi di dollari delle riserve esterne della Da Afghanistan Bank (Dab), la banca centrale afghana. Che da allora non può accedere a queste riserve essenziali per il funzionamento dell’economia e del sistema bancario.

Contrariamente a quanto si crede non si tratta di soldi dello Stato ma di denaro dei cittadini. Che, affidandolo alla banca centrale, potevano metterli a garanzia di transizioni internazionali. Cosa che oggi non posso fare. Nove miliardi sono noccioline in un’economia ricca ma non per un paese povero: lo Sri Lanka è fallito per un debito estero di 50 miliardi di cui non riusciva più a pagare i milioni di interesse mensile che doveva al mercato internazionale.

Gran parte del denaro della Dab è nella pancia della Federal Reserve Bank americana (sette miliardi) che lo ha in parte scongelato. La metà è però soggetta a procedure giudiziarie a seguito di richieste di risarcimento da parte di famiglie di vittime dell’11 settembre (attentato cui i Talebani sono estranei). Gli altri 3,5 miliardi sono a disposizione del Fund for the Afghan People con base a Ginevra, diretto dall’italiano Andrea Dall’Ollio, economista della World Bank. Ma a oggi non c’è stato alcun trasferimento di fondi alla Dab.

«Nel gennaio 2024, il Fondo ha deciso di pagare gli arretrati afghani all’Asia Development Bank, una mossa che potrebbe rilanciare alcuni progetti di infrastrutture. Per il resto – argomenta Antonio Donini di United Against Inhumanity, ong che ha avviato una campagna per la restituzione dei soldi alla Dab – la situazione resta bloccata. E le proposte formulate da esperti e dai due membri afghani del Consiglio del Fondo sono state bocciate dai due membri occidentali, Usa e Svizzera».

Secondo Donini «malgrado le sanzioni e la messa al bando delle banche afghane dal sistema bancario internazionale, la Dab ha dimostrato di avere la capacità di svolgere il compito critico di stabilizzare il valore della valuta, gestire efficacemente la politica monetaria e dare una certa fiducia agli investitori locali. Tasse e dazi raccolti dalle autorità di Kabul hanno anche comportato un aumento delle entrate in contrasto con le precedenti amministrazioni. Tuttavia, la prospettiva di una massiccia riduzione dell’aiuto umanitario mette in luce la fragilità della situazione e delle sue conseguenze per la popolazione. Agli afghani serve un’economia e un sistema bancario produttivi. Far pagare loro decisioni esterne dannose al loro benessere equivale a un’immorale punizione collettiva».

* Fonte/autore: Emanuele Giordana, il manifesto



Related Articles

La marcia del mullah nemico dei talebani

Loading

La «primavera pachistana» dell’imam Qadri Una marcia di 300 chilometri, da Lahore a Islamabad. Quarantamila autobus per trasportare i manifestanti, un’armata di venditori ambulanti per sfamarli. Decine, forse centinaia di migliaia di persone si riverseranno domani nella capitale, in quella che il loro leader ha definito una «primavera pachistana», paragonandola alle proteste di piazza Tahrir al Cairo.

« Piccole patrie » crescono, all’ombra della globalizzazione

Loading

Piccole patrie. L’esplosione dei movimenti indipendentisti. è dif­fi­cile non imma­gi­nare il futuro dell’Europa come una sorta di puzzle mul­ti­co­lore

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment