by Giansandro Merli * | 24 Agosto 2024 8:17
Il leader della France Insoumise all’università del partito. Snocciola idee: ambiente, disarmo, cessate il fuoco in Ucraina e a Gaza. Tra pose da rockstar e applausi
CHÂTEAUNEUF-SUR-ISÈRE. Quando manca ancora un’ora e mezzo al comizio del leader della France Insoumise Jean-Luc Mélenchon fuori dall’anfiteatro, dedicato alla rivoluzionaria della Comune Louise Michel, la fila delle persone in attesa fa due giri ed esce dall’edificio.
«Voglio ascoltarlo da vicino. Viviamo un momento bizzarro: Macron sta provando un colpo di Stato legale, noi dobbiamo restare uniti e far valere il nostro programma», dice François. «Simpatizzante» del partito, è un impiegato pubblico sulla cinquantina, ha percorso quasi 600 chilometri per arrivare dalla capitale a Châteauneuf-sur-Isère, paesino del sud-est francese a due passi da Valence.
Qui si svolge Amfis: una sorta di università estiva che, al pari di altri partiti, gli insoumis tengono ogni fine estate dal 2017. A questa edizione sono iscritte 3.200 persone, «ma ne stanno venendo di più» dicono dall’organizzazione, e sono previsti 120 eventi tra dibattiti, musica e teatro: formazione e socialità per la comunità di questa strana formazione politica, un anfibio tra partito e movimento.
NON È UN GIORNO QUALSIASI: proprio quando l’esecutivo Attal ha battuto ogni record di durata per un «governo d’affari correnti», quarantasette giorni dopo il secondo turno delle legislative il presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha finalmente convocato i partiti. Militanti e semplici cittadini commentano le dichiarazioni che arrivano dalla capitale. Le consultazioni sono state aperte dai leader del Nuovo fronte popolare (Nfp) – insoumis, socialisti, verdi e comunisti – guidati dalla candidata comune: Lucie Castets.
Maggioranza assoluta. Il mantra di Macron per fermare il Fronte[1]
«Bene che Macron abbia iniziato a riconoscere il risultato delle elezioni, ma sembra voglia continuare a fare il selezionatore del futuro governo, mentre la Costituzione gli assegna il ruolo di arbitro», dichiara Manuel Bompard (Lfi). Il segretario del Ps Olivier Faure parla di segnali positivi e ribadisce che «l’unica proposta tangibile è la nostra». Più dura la leader verde Marina Tondellier che denuncia una forma di ostruzionismo istituzionale «estremamente inquietante».
«Signor presidente noi vogliamo applicare una politica di rottura su salari e servizi. Lei è pronto ad accettarlo?», racconta di aver chiesto durante l’incontro Fabien Roussel, al vertice del partito comunista. Su tutte spiccano le dichiarazioni di Castets, che è riuscita nella non facile impresa di mettere d’accordo le diverse anime della coalizione. «È una buona notizia che il presidente sia lucido sul messaggio lanciato dai francesi con le urne – afferma – Ma sembra abbia ancora la tentazione di voler formare il governo. Abbiamo ribadito che siamo arrivati in testa noi». L’attuale direttrice delle finanze del Comune di Parigi si dice pronta a costruire delle coalizioni, a discutere i punti di programma con le altre forze politiche in parlamento.
IN SERATA le dichiarazioni cambieranno di tono perché un’indiscrezione diffusa da Les Echos, il principale giornale economico francese, sostiene che Macron avrebbe escluso di nominare Castets prima ministra: non porterebbe stabilità al paese. La notizia inizia a circolare mentre Mélenchon è sul palco e sta parlando come un fiume in piena. È entrato accolto da rockstar, con i tanti giovani che affollano l’anfiteatro a lanciare cori e tutti gli altri in piedi a raccogliere e applaudire. Il «tribuno del popolo» combina un’indiscutibile abilità oratoria con pose teatrali. Snocciola le sue idee quasi senza pause e le accompagna non solo con i gesti delle mani, ma con il movimento di tutto il corpo.
LA PRENDE ALLA LARGA perché, dice, per agire localmente bisogna avere chiaro il quadro globale. E allora parte dal problema del cambiamento climatico, dalla necessità di trovare un nuovo modello di armonia tra esseri umani e ambiente. Poi passa alla geopolitica, denunciando l’aumento delle spese militari, la spirale bellicista e la necessità di costruire la pace. «Senza pace non c’è soluzione alla crisi ecologica, né redistribuzione delle risorse». Pace significa difendere l’Ucraina, ma farlo anche sul piano diplomatico, e imporre un cessate il fuoco a Gaza, tagliando il sostegno a Netanyahu e riconoscendo lo Stato palestinese.
CI METTE UN’ORA E MEZZO ad arrivare alla situazione francese. Definisce Macron «un autocrate» e attacca le violazioni delle prassi repubblicane. Difende la proposta di avviare una procedura di destituzione del presidente, che però non è stata apprezzata dalle altre forze della coalizione, se non dovesse nominare la candidata del Nfp. Soprattutto le alza un muro intorno, «non è una insoumise ma lo meriterebbe», e invita i suoi militanti a sostenerla fino in fondo. Lo fa perché nelle consultazioni tra i partiti Castets si è schierata per l’integrità del programma, «la spina dorsale del nostro progetto politico» dice Mélenchon, e nell’incontro mattutino con Macron si è dichiarata «evidentemente» disponibile a un governo con i ministri insoumis dentro. Ovvero il punto su cui centro e destra non transigono, ma anche la prova del nove dell’unità del Nfp.
Quando l’orazione termina il pubblico si alza in piedi e canta la Marsigliese e l’Internazionale, con i pugni chiusi in aria. Poi alza il coro: «Lucie Castets à Matignon, si non Macron destitution». Oggi qui ad Amfis sarà lei a prendersi la scena.
* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto[2]
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