Libano. Ucciso Nasrallah, il leader dell’altopiano che si è fatto esercito

Libano. Ucciso Nasrallah, il leader dell’altopiano che si è fatto esercito

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A Baalbek nei primi anni ’80 arrivarono i pasdaran. Il futuro capo di Hezbollah cresce in questo mondo dove nella moschea sotto il tempio di Giove lo sceicco Al Tufeili catturava folle di giovani con le parole d’ordine di Khomeini. Per molti ha rappresentato la parabola ascendente, demografica, politica e sociale, degli sciiti libanesi

 

L’uccisione di Hassan Nasrallah, fortemente legato alla Guida Suprema iraniana Alì Khamenei, è un colpo durissimo a Hezbollah e a Teheran, suo principale sponsor e nemico di Israele: lo spettro di una guerra allargata, evocata da Netanyahu in ogni occasione, si fa più concreto.

E anche chi non la vorrebbe (almeno a parole) si deve preparare, a cominciare dagli Stati uniti e dai loro alleati. In Medio Oriente e in Libano, dove si attende un’ondata popolare di rabbia, non ci sono spettatori neutrali, forse non lo sono neppure i caschi blu dell’Onu sul confine libanese (tra cui un migliaio di italiani).

ANCHE Hassan Nasrallah non è sfuggito al tragico destino della regione: nel 1997 suo figlio Hadi fu ucciso mentre combatteva contro Israele nel sud del Libano, il corpo venne restituito anni dopo in uno scambio di prigionieri.

Ora è stato eliminato dagli israeliani, come era avvenuto per il precedente leader di Hezbollah, Abbas Alì Mussawi, fulminato nel 1992 con un missile da un attacco aereo nel suo rifugio, così come mi raccontò all’epoca suo fratello.

In Medio Oriente la successione a un leader non è mai assicurata, neppure nelle monarchie. Per questo Hezbollah, che è un movimento di guerriglia e politico, con un profondo radicamento sociale tra gli sciiti libanesi e rapporti intensi con la Siria, l’Iraq e lo Yemen degli Houthi, ha sempre agito, pur avendo un capo indiscusso, con una leadership «parallela», meno nota ai media (ma forse non alle intelligence regionali) e pronta a subentrare in ogni frangente.

Certo il movimento – presentato spesso come «stato nello stato» – si è fortemente indebolito e Israele ha dimostrato più volte di poterne individuare una riunione e ucciderne i partecipanti, senza contare che l’attacco ai cercapersone ha compromesso le stesse comunicazioni interne all’organizzazione.

Adesso più che mai i quadri di Hezbollah si sentono nel mirino e cercano di individuare falle della sicurezza e infiltrati. Quasi sempre in Medio Oriente quando viene colpito un leader c’è intorno a lui qualcuno che lo tradisce: Nasrallah lo sapeva e ruotava spesso le gerarchie non militari del movimento.

Intervistarlo era impresa quasi impossibile. Pochi occidentali lo hanno incontrato ma si parla di più di un ventennio fa. Nel 2002 diede un’intervista al New York Times: giornalisti e fotografi furono bendati e portati in giro per Beirut per confondere il loro senso dell’orientamento.

COMANDANTE militare di Hezbollah, dopo la morte di Mussawi, Nasrallah ha preso il comando del movimento sciita e filo-iraniano in cui era entrato poco più che ventenne negli anni Ottanta. Di umili origini, figlio di piccoli commercianti, Nasrallah rappresentava la parabola ascendente, demografica, politica e sociale, degli sciiti del Libano.

Da dove viene questo mondo? Sale alla ribalta della storia nel XVIII secolo quando nella regione montuosa del Jabal Amil, angolo remoto della Siria ottomana, fu inviata una spedizione guidata da Ahmad Pasha, detto al-Jazzar, il macellaio, che fece terra bruciata: i turchi sunniti giudicavano gli sciiti degli eretici e la repressione fu così brutale che per oltre un secolo il sud ripiombò nell’oscurità.

Fu l’emigrazione a cambiare il volto del Jabal Amil. Negli anni Cinquanta gli sciiti cominciarono ad affollare la periferia di Beirut, chiamata quasi subito la «cintura della povertà» ma dove guadagnavano salari cinque volte superiori a quelli percepiti nelle campagne dei latifondisti. Con le rimesse importarono nel sud le prime idee di riscatto propagandate dal partito comunista, dal Baath, dai socialisti, dal movimento nazionalista.

Il Baath, fondato dagli intellettuali di Damasco, si era impiantato a Bint Jebeil diventando tra l’altro una delle forze in campo nel conflitto con Israele del 1948, quando dal confine arrivò la prima ondata di 400mila profughi palestinesi. Ora in Libano i profughi, in gran parte siriani, sono oltre un milione mezzo su cinque milioni di abitanti

Fu in questo universo in rapido cambiamento sociale e demografico che arrivò Musa Sadr, l’Imam destinato a mutare il corso della storia. Tra il 1956 e il ’75 il numero degli sciiti triplicò da 250mila a 750mila, erano il 30% della popolazione e occupavano solo il 3% dei posti pubblici.

Ma il loro numero era già salito a un milione al tempo della seconda invasione israeliana del 1982. Le perdite furono ben più pesanti rispetto alla prima nel ‘78: migliaia di morti e le deboli infrastrutture del sud disintegrate dall’intervento militare, come poi avvenne ancora con la guerra del 2006.

MUSA SADR – il cui ritratto a Beirut compare quasi sempre abbinato a quello di Nasrallah – era già scomparso nella Libia di Gheddafi quando la sua eredità politica, più riformista che radicale, fu monopolizzata dagli Hezbollah, ispirati e sostenuti dalla rivoluzione khomeinista.

Fu a Baalbek, l’antica Heliopolis, che nei primi anni ’80 arrivarono, con l’appoggio dei siriani, i Pasdaran, le guardie della rivoluzione iraniana. Nasrallah cresce e fa la sua militanza in questo mondo dove nella moschea sotto il tempio di Giove lo sceicco Al Tufeili catturava folle di giovani sciiti con le parole d’ordine di Khomeini.

L’esercito degli Hezbollah è nato su questo altopiano, circondato da bastioni aspri, che a est si proietta verso la Siria e la pianura di Homs: Nasrallah ne era il capo da oltre trent’anni e lo ha guidato contro Israele ma anche in Siria per sostenere Bashar al Assad, in Iraq contro l’Isis a fianco delle milizie sciite e anche in Yemen.

Per Hezbollah la scomparsa di Nasrallah è un colpo fatale, l’Iran degli ayatollah accusa un altro fallimento ma la catena di comando non si è frantumata e si prepara a una nuova fase della guerra.

* Fonte/autore: Alberto Negri, il manifesto



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