Intervista a Maysoon Majidi, finalmente libera: «Ho pagato un prezzo altissimo»
REGGIO CALABRIA. Una sentenza anticipata. L’hanno scritta i giudici di Crotone, martedì scorso. Nell’ordinanza di scarcerazione della filmmaker e attivista curda Maysoon Majidi sono contenuti i presupposti di quanto potrà accadere il prossimo 27 novembre, quando si svolgerà l’ultima udienza del processo in cui la ragazza è accusata di essere la “scafista” dell’imbarcazione con la quale lei e altre decine di migranti disperati sbarcarono il 31 dicembre 2023 sulle coste calabresi.
Per il momento, Maysoon è libera, ma non ancora giudicata innocente. «I testimoni sentiti all’odierna udienza – scrivono i giudici del tribunale di Crotone – hanno in gran parte ridimensionato il quadro accusatorio, lasciando emergere come la Majidi, piuttosto che aver svolto un ruolo chiave nell’agevolare la condotta del capitano in ordine al reato di immigrazione clandestina, era invece una mera migrante a bordo dell’imbarcazione». Concludono pertanto che risulta attendibile «l’ipotesi formulata dalla difesa».
Molto soddisfatto è l’avvocato Giancarlo Liberati, difensore di Maysoon: «I giudici hanno ravvisato la convergenza delle testimonianze con la nostra verità – spiega il legale reggino – e così sono giunti alla conclusione che non esistono gravi indizi. Ne consegue che la mia assistita non può essere punibile per il reato che le viene contestato. Siamo fiduciosi. Riteniamo che l’ultimo esame rafforzerà le conclusioni cui è giunta tale ordinanza. Poi – conclude Liberati – chiederemo un risarcimento per ingiusta detenzione. Questa ragazza ha sofferto troppo. Invocheremo l’intervento del presidente della Repubblica Mattarella e delle autorità europee. Maysoon ha diritto a essere cittadina di questo Stato e dell’intera Ue».
La più convinta e felice è proprio Maysoon. Dopo essere passata dal carcere di Reggio Calabria per prelevare i suoi effetti personali, è stata ospite a casa del suo legale. Appena uscita dal parrucchiere, risponde alle nostre domande.
Qual è stato il momento più difficile?
Dopo aver affrontato un viaggio terribile, pensavo che i pericoli fossero finiti. Invece mi sono ritrovata in una situazione ancora più difficile. Questo ha provocato in me un grave turbamento psicologico. Mi chiedevo perché, cosa avessi fatto di male. Non riuscivo a darmi risposte. Ho vissuto giornate tremende.
Ha intenzione di restare in Italia quando tutta questa storia sarà finita?
Ho fiducia nella giustizia. Di sicuro resterò fino a sentenza definitiva. Non sono venuta qui solo per trovare una vita migliore, ma prima di tutto volevo e voglio una condizione di sicurezza, perché sono fuggita dalle persecuzioni. Di me hanno detto di tutto, persino che prima di partire facevo la bella vita, ma questo è assurdo. Ho sempre lottato per i diritti degli altri e così, proprio per le mie idee, ho pagato un prezzo altissimo: sono stati annullati i miei diritti. È chiaro che mi preme tanto ricongiungermi a mio fratello Rayan che sta in Germania. Ha solo 24 anni. Sono una mamma per lui. Lo farò quando le autorità italiane me lo concederanno.
È una militante politica. Che effetto le ha fatto ricevere la solidarietà di tanti attivisti?
Mi ha aiutato a resistere sapere che fuori c’erano ragazze e ragazzi della mia età (28 anni), ma anche persone più anziane, disposte a battersi per me. E sono stata felice di ricevere il loro abbraccio quando mi hanno liberata. Come se fossero miei familiari. Credo molto nel valore dell’amicizia.
Quale ricordo le resterà del carcere?
All’interno ho trovato persone di ogni tipo. Sono stata un po’ meno male a Reggio Calabria, sia nel rapporto con gli operatori che con le altre detenute.
Chi si sente di ringraziare per la liberazione?
Impossibile menzionare tutti e tutte. Ne ricordo qualcuno, ma appena sarà possibile vorrò abbracciare anche gli altri e le altre. I primi nomi che mi vengono in mente sono quelli del dottore Ferdinando Laghi, Mimmo Lucano, Laura Boldrini, Marco Grimaldi, Anna Laura Orrico, Gulala Salih, il comitato Free Maysoon.
È curda, nata in Iran. Cosa pensa dei conflitti che stanno esplodendo in Medioriente?
Il nostro popolo, quello curdo, vive una condizione di oppressione permanente. Siamo divisi in terre disseminate ai quattro punti cardinali, ma quasi nessun mezzo di comunicazione parla di noi. Eppure abbiamo combattuto l’Isis sul campo di battaglia. In queste settimane Erdogan ha ordinato il taglio degli alberi di ulivo nelle terre abitate dai curdi e il loro trasferimento in Turchia. Vogliono ridurci alla fame, dopo averci massacrato. Le guerre che si combattono in Medioriente a volte finiscono per dirottare l’attenzione da altri conflitti.
Cosa pensa della caccia allo “scafista”?
Non capisco il significato di questa parola. C’è una differenza enorme tra chi porta una barca per disperazione e chi traffica esseri umani. È assurdo che si confondano questi due ruoli.
Conosce il caso di Marjan Jamali, anche lei arrestata con la stessa accusa. Quale messaggio si sente di lanciare?
Sì, ho saputo della sua storia e conosco altri casi simili. Le dico: coraggio! Alla fine la giustizia trionferà e sarai libera. Lunedi andrò al suo processo.
In quale modo pensa di proseguire l’attività politica e artistica in Europa?
Continuerò a scrivere e a disegnare. Mi piacerebbe raccontare le storie delle persone che ho incontrato in questi mesi, oltre alla mia. E poi voglio riprendere a lavorare nel cinema. Sento il dovere di documentare la condizione di migliaia di altri rifugiati.
* Fonte/autore: Silvio Messinetti, Claudio Dionesalvi, il manifesto
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