Rapporto-inchiesta delle Nazioni Unite: «A Gaza è sterminio»

by Chiara Cruciati * | 12 Ottobre 2024 10:14

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Il rapporto dell’Alto commissariato per i diritti umani: da Israele attacchi indiscriminati contro la sanità, «a rischio un popolo intero». Fonti dell’esercito alla stampa: l’assedio a nord durerà mesi e servirà a svuotarlo dei palestinesi

 

Presa di mira dal governo Netanyahu su più fronti, dal tentativo di screditarne la legittimità politica agli attacchi militari mirati, l’Onu prova a proseguire il proprio lavoro di documentazione: la pace non riesce a ottenerla e allora si concentra sul dare un nome alle cose.

LO HA FATTO di nuovo giovedì con il rapporto frutto di una speciale commissione nominata dall’Alto commissariato per i diritti umani, che sarà presentato a fine ottobre a Ginevra. L’inchiesta delle Nazioni unite accusa Israele di aver «perpetrato una politica coordinata per distruggere il sistema sanitario di Gaza come parte di un’aggressione più ampia, commettendo crimini di guerra e il crimine contro l’umanità dello sterminio attraverso attacchi incessanti e deliberati contro il personale e le strutture mediche».

Il rapporto parla dell’uccisione, la detenzione e la tortura di sanitari (mille gli uccisi in un anno) e di attacchi militari contro ambulanze e ospedali, un mix di operazioni che colpiscono in particolare i bambini: Israele «ha negato loro l’accesso alle cure mediche di base e deliberatamente inflitto condizioni di vita che hanno portato alla distruzione di generazioni di bambini palestinesi e, potenzialmente, del popolo palestinese come gruppo».

Accuse durissime che ricalcano la decisione della Corte internazionale di Giustizia che, lo scorso gennaio, aveva accolto il caso mosso dal Sudafrica e avviato un’indagine per genocidio plausibile.
A Gaza l’assalto contro la sanità passa per pratiche diverse, non solo raid diretti. Tra queste, la mancata autorizzazioni alle missioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità che tenta invano di raggiungere il nord di Gaza. Nell’ultima settimana è successo sette volte: il nord è inaccessibile a chi porta aiuti medici e organizza l’evacuazione dei pazienti da ospedali abbandonati a se stessi.

Come il Kamal Adwan su cui martedì è piovuto un nuovo ordine di evacuazione israeliano in concomitanza con la rinnovata offensiva di terra. La situazione, dicono i medici ancora presenti, è «catastrofica», tra la totale chiusura imposta dalle truppe e le bombe che cadono a pochi passi dall’ospedale. Sono 50 i pazienti intrappolati, quelli che non possono essere trasferiti, tra loro nove in terapia intensiva con il carburante per i generatori ormai agli sgoccioli. Identica la condizione di altri due ospedali del nord, l’al-Awda e l’Indonesian Hospital.

LE TESTIMONIANZE che giungono dal nord ridanno indietro la stessa immagine: la ferocia dell’offensiva è paragonabile a quella dei primi mesi di guerra. La ragione la si ritrova nelle tv e i giornali israeliani che, citando diverse fonti dell’esercito, indicavano nella pulizia etnica della popolazione palestinese del nord l’obiettivo del governo di Tel Aviv.

Serviranno alcuni mesi di assedio, hanno aggiunto le fonti militari: sono 400mila i palestinesi presenti, molti tornati dopo essere fuggiti a sud, nell’idea che nessuna zona sia davvero sicura. Secondo il giornale Yedioth Ahronoth, al momento l’esercito sta implementando «una versione in miniatura» del piano sul campo profughi di Jabaliya.

Qui l’offensiva di terra è stata lanciata sabato scorso e si traduce nell’isolamento totale della comunità – non entra niente, né cibo né acqua – e in bombardamenti aerei misti a colpi di artiglieria, una strage dopo l’altra: 15 uccisi nella notte, altri 20 ieri pomeriggio. «Non si tratta solo dell’intensa campagna di bombardamenti – scrive il giornalista Hani Mahmoud da Deir al Balah – e della distruzione sistematica di infrastrutture e strutture pubbliche, ma anche del fatto che l’esercito israeliano sta tagliando le forniture di cibo e acqua ai residenti».

IL PIANO di svuotamento definitivo del nord, scrive su Haaretz Amos Harel, ha «un significato importante per i piani futuri di Israele nella Striscia di Gaza e in particolare per le mosse che l’estrema destra sta architettando per garantirsi una lunga occupazione e il rinnovo del progetto di colonizzazione». Che all’orizzonte dell’ultradestra ci sia il ritorno dei coloni a Gaza non è una novità, lo dice da mesi e da mesi organizza apposite conferenze.

 

 

L’orizzonte si allarga ancora oltre se a guardarlo è il ministro delle finanze Bezalel Smotrich: in un’intervista all’emittente europea Arte, ha promesso un’espansione «passo dopo passo» «fino a Damasco».

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto[1]

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