Armi e sostegno a Israele, anche gli alleati rischiano accuse penali
L’arresto del primo ministro israeliano è un vero e proprio obbligo giuridico per gli Stati membri, tra cui tutti i paesi europei, che costituiscono peraltro il nucleo fondatore del progetto materializzatosi a Roma nel 1998
Dopo tante speculazioni e infiniti ostacoli, è finalmente arrivato il mandato di arresto – tanto atteso e temuto – della Corte penale internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Netanyahu per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi a Gaza. La richiesta era stata avanzata dal procuratore dell’Aja lo scorso 20 maggio e riguardava, oltre a Netanyahu, il ministro della difesa israeliano Gallant, e tre leader palestinesi di Hamas, Haniyeh, Sinwar e Deif.
Nei sei mesi trascorsi da allora, almeno due dei capi di Hamas sono stati fisicamente eliminati da Israele (mentre il destino di Deif rimane incerto) e Gallant non è più ministro.
La Camera preliminare della Cpi, composta da tre giudici di varie nazionalità, ha dovuto sciogliere alcuni nodi e rigettare alcune obiezioni, che erano state portate dallo Stato di Israele nel tentativo di bloccare la giurisdizione della Corte, prima di potersi pronunciare sui mandati d’arresto.
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Questi interventi dilatori, uniti a indiscrezioni trapelate nei mesi passati, in merito alle indebite pressioni esercitate da più parti sulla Corte, non da ultimo dal Mossad, nonché dagli Stati uniti, strenuamente impegnati a proteggere l’alleato israeliano, avevano portato alcuni a dubitare che la Corte avrebbe avuto la forza per compiere un passo di tale portata. Come già altri hanno notato, è in effetti la prima volta che la Cpi procede con la richiesta di arresto di un capo di Stato in carica di un paese appoggiato dall’Occidente.
È chiaro che l’emissione di questi mandati di arresto avrà enormi ripercussioni politiche. Ed è altrettanto chiaro che proprio questo è il momento per dare pieno supporto e appoggio alla Cpi, un organismo giudiziario indipendente, istituito con un trattato internazionale (lo Statuto di Roma del 1998) ratificato ad oggi da 124 Stati.
Come ha subito chiarito Josep Borrell, parlando a nome della Commissione europea, l’arresto del primo ministro israeliano, come anche degli altri due individui oggetto dei mandati appena emessi, è un vero e proprio obbligo giuridico per gli Stati membri, tra cui tutti i paesi europei, che costituiscono peraltro il nucleo fondatore del progetto materializzatosi a Roma nel 1998.
Del resto, anche il mandato di arresto nei confronti di Vladimir Putin, emesso nel 2023 dai giudici di una diversa Camera preliminare, riguarda un capo di Stato in carica di un paese che non ha aderito al trattato istitutivo della Corte. Vale la pena ricordare come gli Stati uniti e i nostri paesi abbiano subito espresso il massimo supporto per l’operato della Cpi e l’apertura di procedimenti per i gravi crimini commessi dalle autorità russe in Ucraina. È chiaro che la posizione di netto supporto degli Stati in quella situazione sarebbe difficilmente riconciliabile con prese di posizione di segno opposto rispetto al procedimento riguardante le autorità israeliane.
Come nel caso della Russia, la giurisdizione della Corte su individui israeliani è fondata sul fatto che il paese sul cui territorio i crimini sono stati commessi, la Palestina, è membro della Corte penale internazionale (dal 2015). Peraltro l’interessamento, per così dire, della Cpi alla situazione non è certo iniziato dopo gli attacchi del 7 ottobre, ma risale addirittura al 2009, quando la prima analisi preliminare venne avviata a seguito dei gravi episodi integranti possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel corso della c.d. operazione Piombo Fuso a Gaza.
Vi è dunque, da oggi, una lunga lista di Paesi (i 124 membri della Cpi) che Netanyahu e Gallant non potranno visitare se non vogliono concretamente rischiare di essere arrestati e trasferiti all’Aja. Ma anche per altri paesi, che non facciano parte della Corte, e forse anche per l’attuale amministrazione statunitense, ricevere una visita ufficiale di un individuo oggetto di un mandato di arresto per tali gravi crimini sarebbe come minimo oggetto di imbarazzo istituzionale.
Ma vi è di più: il fatto che i giudici della Corte penale internazionale abbiano deciso che ci sono «ragionevoli motivi» per ritenere che i massimi rappresentati dello Stato di Israele si siano resi responsabili di crimini gravissimi – quali il crimine di affamamento della popolazione civile (starvation), utilizzato come arma di guerra, o di crimini contro l’umanità quali la persecuzione della popolazione civile di Gaza, privata del diritto alla vita e alla salute con intento discriminatorio, le uccisioni di civili, incluse le migliaia di bambini – non potrà non avere forti ripercussioni su tutti gli Stati che entrino in relazione con Israele. Sono già molteplici le cause civili, penali e amministrative, intentate in molti paesi, tra cui negli Stati uniti, in Germania, Regno unito, Olanda, Francia o Australia, contro il supporto prestato a livello governativo in termini economici e soprattutto militari a Israele.
Continuare a intrattenere commerci, e in particolare vendere armi a Israele – i cui massimi rappresentanti sono ufficialmente ricercati su mandati di arresto emessi dalla massima autorità giudiziaria indipendente – potrebbe configurare, a maggior ragione alla luce dei mandati di oggi, precise responsabilità anche di natura penale.
* Fonte/autore: Chantal Meloni, il manifesto
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