Arrestateli. Dalla Corte internazionale un test politico-legale storico: «Rispettate l’Aja o crolla tutto»
I giuristi spiegano la decisione sui mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant: poche ripercussioni, chi non aderisce può essere deferito dalla Corte o denunciato dai propri cittadini. Ma le tre ordinanze delle Corti in 11 mesi rendono «ormai chiara l’illegalità del dominio israeliano sui palestinesi»
In undici mesi i più alti tribunali del pianeta hanno terremotato decenni di apatia internazionale sul colonialismo d’insediamento israeliano e le sue pratiche. A gennaio il primo ordine della Corte internazionale di Giustizia (Cig) ha accolto l’accusa di genocidio mossa a Israele dal Sudafrica (ne sarebbero seguiti altri due); a luglio la stessa Corte ha definito illegale l’occupazione militare dei Territori palestinesi e l’ha designata come annessione di fatto e regime di apartheid. Infine, due giorni fa, l’emissione da parte della Corte penale internazionale (Cpi) di mandati d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità per il premier israeliano Benyamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant.
«LE DUE CORTI sono il più grande test politico-legale dall’era della decolonizzazione. Con chi stiamo? Con la giustizia universale anche per il mondo non bianco, o con i crimini e il genocidio coloniali? – si chiede Nicola Perugini, docente di diritto internazionale a Edimburgo – I due procedimenti sono un chiaro segnale che l’umanità, in senso prettamente giuridico, non può tollerare la violenza messa in gioco da Israele negli ultimi 14 mesi per eliminare la popolazione palestinese dopo averla accusata di responsabilità in quanto gruppo nazionale per gli eventi del 7 ottobre».
«Quella violenza contro il gruppo colonizzato – ci spiega Perugini – ha come scopo la sostituzione della popolazione palestinese con coloni israeliani. Dalle due corti, messe insieme, emerge il repertorio del crimine dei crimini per mettere in atto, come la maggioranza dei ministri di Netanyahu dichiara alla luce del sole, quella che nel suo ultimo report la relatrice speciale Francesca Albanese chiama la “cancellazione coloniale”».
La redazione consiglia:
L’Aja: «Occupazione illegale e apartheid: Israele deve ritirarsi subito»
E lei, la relatrice Onu che fin da ottobre 2023 avvertiva del rischio di genocidio, insiste nel suonare il campanello d’allarme globale: «È fondamentale rispettare il diritto internazionale che obbliga tutti gli stati a eseguire i mandati d’arresto – spiega al manifesto – Il sistema scricchiola. O lo si rafforza o ciò che è stato costruito negli ultimi 76 anni a protezione degli esseri umani – e soprattutto, negli ultimi 25 anni sotto l’egida dello Statuto di Roma, la possibilità di prevenire e punire crimini internazionali – evaporerà definitivamente». «Sono anni – continua Albanese – che lo Stato di Israele ha reso la vita un inferno su terra per milioni di palestinesi. Gli ultimi 14 mesi non sono che un’escalation sterminatoria che io ho chiamato genocidio».
Da due giorni giuristi di tutto il mondo avvertono della necessità di rispettare quanto deciso dalla Corte, che di suo non ha poteri coercitivi: è sugli stati firmatari dello Statuto di Roma che pesa l’obbligo di agire, arrestando e trasferendo all’Aja l’individuo sottoposto a mandato di cattura. L’obbligo cade in un unico caso: se esiste già un procedimento penale aperto a carico dello stesso soggetto per gli stessi crimini, la giurisdizione nazionale prevale.
COSA ACCADE nel caso di mancata cooperazione? Di ripercussioni dirette non ce ne sono. Ce ne sono di indirette, e possono far male. Le elenca al manifesto Nimer Sultany, giurista palestinese e docente di diritto all’Università Soas di Londra: «Alcuni stati hanno una giurisdizione universale: autorizzano cittadini e organizzazioni a rivolgersi alle corti nazionali nel caso in cui il proprio paese non proceda all’arresto di un ricercato dalla Cpi».
La stessa Corte penale ha qualche strumento, seppur colpisca solo la reputazione dei paesi refrattari. È successo con la Mongolia, che non cooperò con l’arresto di Vladimir Putin: il 24 ottobre la camera preliminare della Cpi ha deferito la Mongolia all’Assemblea dei paesi membri a cui spetta il potere di censurare Ulan Bator.
La redazione consiglia:
Sullo sfondo stanno i danni collettivi: «Se dopo aver sostenuto l’arresto di Putin – continua Sultany – i paesi occidentali non faranno lo stesso con Israele, l’intero ordine legale internazionale ne uscirà indebolito: nessuno stato avrà incentivi a rispettarlo. È interessante vedere cosa farà la Germania: è dai crimini tedeschi commessi nella Seconda guerra mondiale che è nato in buona parte l’attuale diritto internazionale».
«Oggi gli stati hanno tanti obblighi: primo, prevenire il genocidio come stabilito dalla Cig; secondo, non contribuire all’occupazione illegale dei Territori palestinesi occupati, di nuovo una sentenza della Cig; e terzo, i mandati d’arresto – conclude Sultany – L’importanza delle tre decisioni sta nel rendere chiara la criminalità del dominio israeliano sui palestinesi. L’Occidente non può più spacciare l’immagine di Israele come pacifica e vibrante democrazia».
* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto
ph U.S. Secretary of Defense, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
Related Articles
South Carolina, scuola di polizia
Video shock. Una adolescente afroamericana che si rifiuta di lasciare l’aula viene aggredita con ferocia da un poliziotto dello sheriff’s department
Brexit, lotta nei Tories Johnson sfida Cameron “Dico no all’Europa”
Il sindaco di Londra: “Troppi lacci dall’Ue” Il premier: “Se andiamo via conteremo meno”
Sudan. Scontri tra esercito e paramilitari, cento i morti e ospedali al collasso
Al-Burhan si riprende la tv, ma la capitale rimane senza acqua potabile. Hemeti: combattiamo gli islamisti. Tank e aerei da guerra in azione. Anche Mosca chiede la tregua