Egitto . Alaa Abd El-Fattah, l’amico geniale

Egitto . Alaa Abd El-Fattah, l’amico geniale

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L’ intellettuale egiziano ancora in cella nonostante la fine della sentenza: la madre Leila Soueif digiuna da 50 giorni per protesta. La testimonianza di chi ha condiviso con lui lotta e prigionia

 

Non è facile scrivere di Alaa. Ho pensato di iniziare dal titolo del suo libro Non sei ancora stato sconfitto, sperando che possa facilitarmi il compito. Quel titolo non è solo un riferimento alla resistenza di una persona, ma una chiamata a tutti coloro che affrontano oppressione e ingiustizia a continuare a lottare, a non arrendersi di fronte alle difficoltà.

Dirò subito: «Non sono stato sconfitto». Queste parole mi danno la forza di scrivere di Alaa, una delle figure più ispiratrici per me dall’inizio del mio impegno nel campo politico e dei diritti umani. Alaa è un simbolo di speranza, una persona che non smette di lottare anche quando il mondo sembra concentrarsi su priorità che non riguardano la nostra libertà e la nostra vita. Molti sono ancora dietro le sbarre, mentre il mondo sembra ignorare la loro esistenza ed è perfino complice delle autorità nei crimini contro i diritti umani.

VIVIAMO in un mondo dove interessi politici ed economici si intrecciano con la questione dei diritti umani, dove i governi occidentali – pur avendo gli strumenti per fare una differenza concreta – preferiscono non affrontare il problema dei prigionieri politici.

Questi governi, soprattutto nell’ultimo periodo, hanno scelto di ignorare la questione, giustificandosi con le complessità della guerra in Palestina e Libano e con le difficoltà della situazione nella regione. Quella che viene definita «mediazione» da parte di Paesi come l’Egitto, di fatto contribuisce a consolidare un atteggiamento di complicità con i regimi che violano i diritti umani, riducendo le notizie sui prigionieri politici a fatti marginali nei notiziari. L’Occidente, che si dipinge sempre come il difensore dei diritti umani, ha mostrato il suo vero volto negli ultimi tempi.

Le sue politiche non sono mai state davvero fondate sull’impegno concreto per i diritti degli individui, ma piuttosto sono state un’arma di negoziazione politica, utilizzando i diritti umani come uno strumento per raggiungere i propri interessi economici e commerciali. Le stesse autorità che si dicono paladine dei diritti umani, in realtà si schierano a fianco dei regimi che praticano la repressione e l’oppressione. Alaa non è stato sconfitto e noi non saremo mai sconfitti, finché ci saranno persone che continueranno a portare avanti la bandiera della verità e della libertà di fronte alla tirannia.

Forse servirebbe leggere il libro di Alaa, il Gramsci d’Oriente, come molti amano definirlo dopo la pubblicazione di quell’opera unica, per comprendere l’enorme contraddizione che caratterizza la mente/l’essere umano che è Alaa, con le sue idee, convinzioni e sentimenti, forgiati in un clima di persecuzione, arresto e sorveglianza, durati gran parte dell’ultimo decennio. Durante le rare fasi di rilascio, la sua libertà era limitata a sole 12 ore giornaliere sotto stretta sorveglianza della polizia, mentre il resto del giorno lo trascorreva in un centro di detenzione ufficiale.

Tutto ciò accadeva prima che fosse nuovamente arrestato a causa di alcuni suoi post, in cui parlava di un caso di abuso da parte della polizia che aveva portato alla morte di una persona in una stazione di polizia. Fu condannato a cinque anni di prigione per «diffusione di notizie false», una falsa accusa abitualmente rivolta ai politici e attivisti. Anche io sono stato imputato della stessa accusa: mi è costata tre anni di carcere, ne ho scontati circa due prima di ottenere un’amnistia presidenziale.

L’ULTIMA FASE della detenzione di Alaa, quella in cui è stato trattenuto, mentre stava per essere liberato su cauzione, è stata particolarmente difficile. È rimasto in detenzione preventiva per oltre due anni senza processo né indagini sulle accuse di terrorismo che gli erano state mosse.

Dopo un processo che gli esperti delle Nazioni unite hanno definito «inadeguato», è stato condannato a cinque anni di carcere per «diffusione di notizie false», semplicemente per aver condiviso un post su Facebook in cui denunciava le torture nelle carceri. Nonostante abbia scontato l’intera pena ingiusta, Alaa continua a subire una grave violazione dei suoi diritti legali: non è stato rilasciato il 29 settembre scorso, in violazione esplicita dell’articolo 482 del codice di procedura penale egiziano, che stabilisce che il tempo trascorso in detenzione preventiva debba essere computato come parte della pena.

La vita della madre, Leila Soueif, rappresenta l’ultima arma o forse l’ultimo grido di protesta, dopo aver annunciato il suo sciopero della fame a tempo indeterminato fino alla liberazione di suo figlio Alaa. Oggi è il cinquantesimo giorno del suo sciopero. A 68 anni, Leila è una stimata matematica e professoressa di fisica alla facoltà di Scienze dell’Università del Cairo, e sta opponendosi con il suo corpo, la sua salute e la sua vita all’insistenza del regime nel tenere suo figlio in prigione per sempre. Ha sempre ricordato che il padre di Alaa è morto in prigione e che suo nipote è cresciuto e vive con suo padre in carcere, mentre la famiglia non è mai riuscita a riunirsi senza barriere o prigioni.

Leila parla sempre dei suoi semplici desideri: trascorrere del tempo normale con la sua famiglia, come qualsiasi altra famiglia che si riunisce attorno a una tavola durante le festività o le occasioni speciali, senza che suo figlio o sua figlia minore Sanaa vengano arrestati di nuovo. Desidera che la famiglia possa vivere lontano dalla follia delle persecuzioni, delle mire politiche, dei pubblici ministeri, dei tribunali e delle prigioni, semplicemente perché Alaa e i membri della sua famiglia hanno scelto di sostenere cause umanitarie e posizioni ideologiche.

La dottoressa Leila, che ha messo la sua vita come ultima scommessa, ha perso ogni speranza in tutte le iniziative legali per salvare suo figlio dalla vendetta politica e dalla «liquidazione» storica della rivoluzione di gennaio e della sua generazione. Dopo tutte le mediazioni, le richieste politiche e le pressioni locali e internazionali non sono riuscite a ottenere la sua liberazione, neanche a farlo uscire dalla prigione, dopo aver scontato tutta la sua condanna.

PROBABILMENTE Leila è ben consapevole del reale avvicinamento tra Egitto e Occidente (e in particolare la Gran Bretagna, Alaa possiede sia la cittadinanza britannica che quella egiziana) nel contesto regionale e internazionale complicato, conoscendo la posizione del governo britannico, che ha rinnegato le sue promesse precedenti di un intervento decisivo nella questione di Alaa, fino alla sua liberazione. Tali promesse non si sono concretizzate né sono state dimostrate con azioni concrete e significative

Tutto questo, e molto altro, ha spinto la madre a mettere in gioco tutta la sua vita per quella di suo figlio e per la sua libertà, con probabilità drammatiche che si possono solo immaginare, considerando la sua età, le sue condizioni di salute, la perdita di peso e gli effetti dell’astinenza alimentare. Eppure, nonostante tutto, lei continua con determinazione, rimanendo fedele ai suoi doveri professionali all’università e ai suoi impegni sociali, come la solidarietà, l’offrire le sue condoglianze e visitare gli amici malati…

Tuttavia, per lei, tutto questo non è nulla rispetto al suo obiettivo. Insiste nel percorrere la strada fino alla fine (o alla sua fine), senza mostrare segni di cedimento o accettazione nei confronti del rapimento di suo figlio in questo modo, nonostante l’età. È un chiaro segno non solo della sua straordinaria forza che ispira gli altri, ma anche dei suoi sentimenti come madre, prima di ogni altra cosa.

Ho tanti ricordi legati ad Alaa Abd El-Fattah, nonostante non fossimo né colleghi né amici in alcun senso. Nel corso degli anni, la nostra relazione si è evoluta. Ho conosciuto Alaa per la prima volta attraverso il blog Manal e Alaa, che nel 2004 rappresentava una piattaforma unica e diversa rispetto ai media tradizionali. Quel blog era una finestra sull’idea della pubblicazione indipendente e dei media alternativi, oltre a essere il punto di partenza per il movimento dei blogger, che ha cambiato i metodi e gli strumenti della conoscenza per intere generazioni.

È stato il mio primo contatto con il genio Alaa, un brillante programmatore, sempre creativo e innovativo nei metodi di resistenza e cambiamento pacifico. Con il passare del tempo, mi sono trovato coinvolto nella rivoluzione egiziana, dove Alaa è diventato una delle figure più importanti di quel movimento e una fonte d’ispirazione per la nostra generazione, grazie alle sue idee politiche e alle sue analisi profonde.

RICORDO BENE un grande sit-in studentesco che abbiamo organizzato nella nostra università, il più famoso del periodo in Egitto. Diverse figure politiche e candidati presidenziali hanno partecipato, ma ciò che attendevo con maggiore impazienza era l’arrivo di Alaa, per ascoltare le sue opinioni, le sue valutazioni sulla situazione e i suoi consigli per noi studenti.

La nostra relazione non è stata solo una fonte d’ispirazione. Prima delle elezioni presidenziali seguite alla rivoluzione, c’è stato un grande dibattito sull’idoneità di un candidato con un background musulmano. Noi giovani, insieme ad Alaa, sostenevamo che chiunque soddisfacesse i requisiti dovesse avere il diritto di candidarsi. Dopo la sua esclusione, però, durante un incontro, ci trovammo in disaccordo con Alaa, al punto da accusarlo di essere retrogrado e codardo, spinti dal nostro entusiasmo giovanile e dal desiderio di affermare la nostra autonomia di pensiero. Anche se in quel dibattito Alaa aveva ragione, quell’esperienza riflette il nostro fervore rivoluzionario e il desiderio di dimostrare che potevamo avere opinioni diverse dalle sue.

L’ultima volta che mi sono trovato vicino ad Alaa Abd El-Fattah è stato dietro le sbarre del carcere. Non ci siamo incontrati faccia a faccia. Ero detenuto e portato a una delle udienze in tribunale, dove ci trasferivano a centinaia. Giornate lunghe di attesa per decisioni che si traducevano quasi sempre in un semplice rinnovo della detenzione. Un modo per mascherare l’ingiustizia con un’apparenza burocratica.

Mentre entravo nella sala del tribunale, ho sentito uno degli ufficiali dire via radio a un collega: «Porterò dentro Alaa Abd El-Fattah». In quel momento ho sorriso involontariamente. Era un sorriso misto di nostalgia e sorpresa. Erano anni che non vedevo Alaa a causa della prigionia e persino quando era stato rilasciato brevemente, non avevo avuto l’occasione di incontrarlo.

Ma quella gioia è durata poco. Sono rimasto sorpreso quando l’ufficiale che mi accompagnava ha detto con tono severo: «È vietato che si incontrino o anche solo si vedano. Andremo nei guai seri se accadesse». Una frase che racchiudeva tutta la paura del sistema di fronte a un semplice scambio di sguardi o di saluti tra noi due. Il solo pensiero di un incontro era considerato una «minaccia alla sicurezza».

NONOSTANTE tutto questo, Alaa e la sua famiglia mostrano un coraggio straordinario. Resistono all’ingiustizia con la loro presenza umana, con la loro determinazione a essere una voce che rifiuta il silenzio.

Concludo queste righe con un estratto dall’ultimo libro di Alaa, Non siamo ancora stati sconfitti: «Non ti toglieranno dalla storia finché sarai capace di parlare, non ti esilieranno nel passato finché sarai capace di ascoltare. Ma in quale presente abiti? Abita nei sogni dei tuoi compagni e negli incubi dei tuoi nemici, vivi in un futuro non ancora realizzato, vivilo come un’ombra, un monito, un ricordo. Ricorda loro che il presente non era inevitabile prima di diventare realtà. Non perderti nel chiederti perché quel futuro possibile non si sia realizzato. Lascia che sia il vincitore a cercare le risposte. Sii tu la domanda e non preoccuparti della tua impotenza, perché un fantasma non ha bisogno di una presenza fisica o di un impatto tangibile. Devi solo manifestarti».
L’articolo integrale su ilmanifesto.it

* Fonte/autore: Patrick Zaki, il manifesto



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