Esiste ancora una giustizia internazionale contro i poteri selvaggi
Le reazioni stupefatte e indignate al mandato d’arresto della Cpi per Netanyahu e Gallant ci dicono che il diritto c’è ancora, ma i potenti non sono disposti a sopportarlo
Il mandato di arresto per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra, emesso dalla Corte penale internazionale contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex ministro della difesa Yoav Gallant e il capo militare di Hamas Mohammed Deif, ci dice una cosa elementare ma inaccettabile per gli odierni poteri selvaggi. Ci dice che esiste ancora un diritto internazionale; che c’è un giudice all’Aja; che all’esercizio sregolato della forza ci sono ancora limiti giuridici. Le motivazioni del mandato informano i governanti di Israele e l’intera comunità internazionale che i palestinesi sono esseri umani.
Che perciò non è lecito usare la fame come un’arma di guerra, privando «intenzionalmente la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità»; che è un crimine contro l’umanità ostacolare gli aiuti provenienti dall’estero e costringere i medici a operare i feriti e a eseguire amputazioni senza anestesie; che è un crimine di guerra attaccare intenzionalmente le popolazioni civili e bombardare ospedali e scuole provocando decine di morti – sette donne e bambini su ogni dieci civili uccisi – solo per colpire un capo nemico. In questi tempi tristi e crudeli, nei quali l’Onu viene insultata, le sue risoluzioni sono ignorate e le sue forze di interposizione Unifil sono bombardate, gli organi giurisdizionali di garanzia, grazie alla loro indipendenza, hanno dato un segno di vitalità, affermando il diritto contro l’uso illimitato della forza.
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Naturalmente i potenti hanno reagito con durezza. Pronuncia “antisemita”, “oltraggiosa”, “assurda e falsa”, hanno dichiarato i governanti israeliani. Una decisione viziata dall’assenza di giurisdizione della Corte, hanno affermato gli Stati Uniti, rilevando che Israele non ha ratificato lo statuto della Corte: circostanza questa, hanno precisato i giudici dell’Aja, che non toglie la loro competenza, dato che tale statuto è stato ratificato nel 2015 dalla Palestina e il suo art. 12 la prevede per i crimini commessi nel territorio di uno Stato-parte. Il nuovo leader dei repubblicani al Senato John Thune, è giunto a minacciare misure contro i giudici dell’Aja “in segno di ritorsione”. “E’ una vergogna”, ha detto a sua volta il premier ungherese Victor Orbán. Analoga reazione ha avuto il presidente argentino Javier Milei. “Sentenza assurda e filo islamica” ha infine dichiarato, in Italia, la Lega di Matteo Salvini. Evidentemente, per tutti questi potenti, grandi e piccoli, è impensabile che ci sia un giudice che ricordi che il loro potere non è assoluto e che alcune cose non si possono fare.
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Le reazioni stupefatte e indignate provocate da questo mandato d’arresto ci dicono perciò un’altra cosa, anch’essa semplice ed elementare: che se è vero che ancora il diritto esiste, i potenti non lo sopportano, né sono disposti a sopportarlo. Esse ci fanno capire il senso dell’intolleranza che rivestono, in tutto il mondo, gli attacchi ai controlli giurisdizionali di qualunque tipo: la riforma giudiziaria voluta dalla destra israeliana nel gennaio 2023 e consistente nella neutralizzazione della Corte suprema e nella sostanziale subordinazione della giurisdizione al potere politico; la recente riforma giudiziaria in Messico, che integra tutti i giudici nel potere politico rendendoli elettivi; la pretesa avanzata dal multi-miliardario Elon Musk che i giudici italiani che non hanno convalidato le deportazioni dei migranti in Albania «se ne devono andare»; lo stupore espresso dalla nostra presidentessa Giorgia Meloni per la non collaborazione di tali giudici con il governo; in breve, l’irritazione stupefatta dei potenti per non poter fare, indisturbati, tutto ciò che vogliono.
È questa la nuova e purtroppo antica ideologia di tutti gli autocrati del mondo. Diritti fondamentali e separazione dei poteri – i due elementi senza i quali, dice l’articolo 16 della Dichiarazione del 1789, non c’è Costituzione – per costoro non contano. Non ne comprendono neppure il senso. Democrazia e libertà sono le parole, da essi sottratte al lessico progressista, con le quali chiamano e legittimano i loro arbitrii e le loro illegalità. L’aspetto allarmante di questo disprezzo del diritto e di questa aggressione ai diritti è il loro carattere globale. Globale è la logica del nemico che legittima guerre e massacri di massa indiscriminati. Globale è il disprezzo suprematista per i popoli e le persone che non appartengono al nostro nobile Occidente. Globale è l’attacco alla sfera pubblica, la devastazione della natura e la guerra contro i poveri e contro i deboli.
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Per questo l’opposizione a questi attacchi non può che essere a sua volta globale. Per questo l’alternativa ai sempre più potenti poteri selvaggi degli Stati sovrani e dei mercati globali non può che essere l’allargamento alla loro altezza delle garanzie costituzionali: non solo la difesa e il rafforzamento dell’ancora imperfetta giustizia internazionale, ma anche il disarmo globale e totale a garanzia della pace e della sicurezza, un demanio planetario che sottragga i beni comuni della natura all’attuale mercificazione e devastazione, servizi sanitari e scolastici globali a garanzia dei diritti alla salute e all’istruzione. Solo grazie a queste garanzie globali, pace e uguaglianza cesseranno di essere promesse non mantenute. Sembra un sogno. E invece è la sola alternativa razionale e realistica a un futuro di catastrofi planetarie.
* Fonte/autore: Luigi Ferrajoli, il manifesto
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