Il futuro del Libano. Dopo l’ennesimo bagno di sangue per niente
Quel che Israele ha ottenuto è la formalizzazione di una realtà già esistente: ovvero la possibilità di intervenire in Libano in nome dell’«autodifesa»
La fine dei raid israeliani sul Libano, un gioco di acrobazie diplomatiche tra Usa e Francia, è senza dubbio una buona notizia, per quanto fragile sia la sua tenuta. I libanesi festeggiano, pur portando il lutto per i morti e le devastazioni di quest’ennesima aggressione. Intanto l’opposizione interna al governo Netanyahu accusa il premier israeliano di «non aver finito il lavoro», incitandolo a riattivare il massacro del Libano, anche se questo ricaccerebbe Israele nell’impasse da cui ha cercato di tirarsi fuori con questa tregua, sostenuto da Usa e Francia.
L’ennesimo bagno di sangue libanese – 3.768 morti e quasi 16mila feriti secondo il ministero della salute di Beirut – non ha portato ad alcun concreto vantaggio strategico per Israele, ma semmai a concessioni internazionali che formalizzano l’impunità di cui Israele già di fatto gode. Sul terreno i fallimenti sono palesi: Israele non ha rioccupato il Libano, come intendeva fare. Senza dubbio la sua aviazione ha inflitto distruzioni enormi a un paese già fragile, ma le truppe di occupazione sono riuscite a malapena a penetrare oltre confine e, sebbene abbiamo fatto saltare in aria interi villaggi già evacuati, non sono riuscite a mantenere alcun controllo del territorio.
Gli ultimi giorni di combattimenti intensi a Khiam, Bint Jbeil e Shamaa sono stati forse decisivi perché Israele prendesse atto della formidabile capacità militare di Hezbollah di difendere il paese e optasse per un ritiro. Israele non ha soprattutto raggiunto il suo obiettivo più importante: distruggere Hezbollah.. Nonostante il colpo durissimo incassato con la decapitazione della sua leadership e gli attacchi dei cercapersone e dei walkie-talkie del 17 e 18 settembre scorsi, il ‘Partito di Dio’ ha resistito all’invasione, infliggendo pesantissime perdite alle truppe nemiche (assai più pesanti della guerra del 2006) e colpendo una serie di obiettivi militari sensibili in Israele con missili che hanno raggiunto anche la capitale Tel Aviv.
Hezbollah resta un membro del sistema politico libanese e parteciperà nella ricostruzione delle aree distrutte: uno scenario ben differente dall’obiettivo di inaugurare un’«era post-Hezbollah» che Amos Hochstein, l’ex soldato israeliano reinventatosi “mediatore” statunitense, aveva proclamato in modo evidentemente prematuro.
La redazione consiglia:
L’accordo in atto prevede un nuovo impegno a rispettare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu 1701, violata dal Libano quanto da Israele finora e ribadisce il ruolo di Unifil, sebbene con una supervisione statunitense – il vero ‘diavolo’ nascosto tra i dettagli. Ma la continuazione della presenza Unifil al confine nei fatti mette fuori gioco, almeno per il momento, le velleità israeliane di rioccupare il sud del Libano – obiettivo che Israele aveva perseguito negli ultimi due mesi, anche cercando di provocare un ritiro dei caschi blu dal Libano, colpendoli ripetutamente nelle loro basi. Infine, Israele ha dovuto abbandonare anche lo strumento di ultima istanza più perverso che aveva cercato di usare: provocare una guerra civile in Libano, incitando i libanesi a rivoltarsi contro Hezbollah, per «non fare la fine di Gaza».
Questo aveva detto il premier israeliano Netanyahu alla popolazione libanese, mentre la sua aviazione terrorizzava i civili dal cielo. Ma, nonostante alcune frange dell’estrema destra cristiana libanese, molto rumorosa ma poco influente, avessero flirtato con questo “invito”, la realtà è che Israele non ha più veri “collaboratori” in Libano, come ai tempi della guerra civile. La maggior parte della popolazione libanese, anche quella più critica verso Hezbollah, ha sostenuto la resistenza in questa guerra, ben sapendo che una caduta del sud e una nuova occupazione militare israeliana, avrebbe di fatto significato la fine del Libano.
Quel che Israele ha semmai ottenuto è la formalizzazione di una realtà già esistente: ovvero la possibilità di intervenire in Libano in nome dell’«autodifesa», ovvero quel che Israele fa su base quotidiana da sempre, anche in assenza di palpabili “minacce” alla sua sicurezza. Inoltre, secondo indiscrezioni rivelate dal giornale israeliano Haaretz, Netanyahu avrebbe ottenuto dalla Francia una garanzia di immunità in territorio francese rispetto al mandato di arresto della Corte Penale Internazionale – un colpo ulteriore all’ordine normativo internazionale già in rapido disfacimento.
Più significativamente, l’accordo prevede una supervisione Usa più vigorosa ed esplicita sui meccanismi di disarmo di Hezbollah da parte dell’esercito libanese, già previsti dalla 1701. Anche questa, tuttavia, non è novità: dal 2005 in poi, gli Usa hanno tentato in tutti i modi di manovrare le istituzioni libanesi per strozzare Hezbollah dall’interno, ma tale disegno si è scontrato e continua a scontrarsi con una realtà in cui Hezbollah è parte integrante del sistema politico e sociale ed è dunque impossibile da sradicare senza annichilire una parte significativa della società. Senza dubbio gli Usa intendono aprire una nuova fase della lunga «guerra al terrore» in Libano, ma quel che questo accordo prospetta all’orizzonte non è altro che una nuova iterazione di tentativi già sperimentati e falliti in passato.
* Fonte/autore: Marina Calculli, il manifesto
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