La violenza proterva del potere e il dovere di reagire
È reale l’orizzonte fosco, nero, in cui siamo immersi, ma proprio per questo è necessario agire e resistere in direzione contraria: non c’è un’unica via e non c’è una via già scritta. Le piazze lo ricordano. È l’insegnamento della nostra Costituzione, un realismo emancipante: gli ostacoli esistono, rimuoviamoli
Sembra di vivere in una distopia surreale, ma reale è la criminalizzazione della protesta e reali sono i poteri che «come fortilizi contrapposti» si strappano potere; cito da Mattarella, e chioso: invero, è uno, l’esecutivo, che strappa il potere agli altri e spoglia dei diritti i cittadini.
Esponenti del governo di nuovo evocano il clima di odio e di violenza, scenari di altri tempi, per criminalizzare le manifestazioni degli studenti. È il diritto di protesta in sé ad essere stigmatizzato e delegittimato, si citano gli slogan come fossero prove di reato. Una democrazia, scriveva Passerin d’Entrèves, è improntata alla «tolleranza del dissenso sino all’estremo limite possibile».
La violenza, certo, non è mai accettabile in una democrazia: non lo è quando proviene dai manifestanti (ma qui certo non c’è mancanza di reazione, tanto che si ragiona di eccesso punitivo, con utilizzo improprio delle fattispecie penali, abuso di misure cautelari …); non lo è quando assume la forma di violenza verbale da parte di chi rappresenta le istituzioni o di violenza fisica ingiustificata da parte delle forze di polizia. E non lo è quando presenta le vesti di una legislazione violenta, che chiude gli spazi del dissenso e punisce il disagio sociale, come è nel disegno di legge sicurezza in discussione, ultimo tassello di un processo (multipartisan) di sterilizzazione dello spazio democratico.
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E, ancora, non è tollerabile la violenza di un governo che attacca frontalmente la magistratura, o la violenza esercitata contro le persone che migrano, trattate letteralmente come pedine da muovere sullo scacchiere politico.
Oggi a raccontare di uno scontro violento sono anche le parole del presidente Mattarella sugli organi dello Stato che non sono «fortilizi contrapposti per strappare potere l’uno all’altro», ma «elementi della Costituzione chiamati a collaborare, ciascuno con il suo compito e rispettando quello altrui». «Fortilizi», «strappare» sono parole forti, che raccontano di una non rituale preoccupazione per la democrazia. In questione è l’equilibrio dei poteri, cardine della democrazia costituzionale, che presuppone il reciproco riconoscimento.
Colpisce la protervia con la quale il governo si scaglia contro la magistratura, attraverso delegittimazione, falsificazione di dati di fatto (l’incontestabilità dell’applicazione delle norme in tema di rapporti tra ordinamento italiano ed europeo) e riforme ad hoc. Il tutto condito dal vittimismo di un potere che travalica i suoi limiti e pretende di incarnare anche l’oppresso dal potere. Ad essere travolti sono l’indipendenza della magistratura, il senso proprio della sua soggezione soltanto alla legge, e il parlamento, ancora una volta piegato al compito di dare forma legislativa ai voleri del governo.
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Le diverse forme di violenza hanno un comune precipitato nel fotografare in modo nitido la concentrazione del potere, la deriva decisionista e autoritaria, e – il ruolo riconosciuto a Musk è emblematico – il suo legame con gli interessi dell’oligarchia che possiede le leve di un modello economico predatorio, imperniato sulla massimizzazione del profitto di pochi.
Provvedimenti come il disegno di legge sicurezza chiudono il cerchio, blindando il modello, non a caso tenendo insieme la punizione della marginalità sociale e della divergenza politica.
Sembra quasi irreale, tuttavia è reale, giustificato e mistificato da menzogne, ripetute al di là di ogni evidenza, finché (è la «logica dell’insistenza» dei regimi autoritari) divengono la «verità».
La violenza si intreccia con la menzogna, per legittimarsi e delegittimare l’altro, esercitando una ulteriore violenza. È la costruzione del nemico, da espellere, da eliminare.
È il contrario della democrazia come pluralismo, discussione e conflitto; è il contrario dell’uguaglianza, dell’eguale riconoscimento, che è fondamento della democrazia.
Se guardiamo al presente, con gli occhi di chi (si spera) vivrà il futuro, non vorrei che si dicesse, non avete voluto vedere. Come scriveva pochi giorni fa Andrea Fabozzi su queste pagine: «Meglio accorgesene».
Reale è un governo che pretende di esercitare un potere assoluto, delegittimando le altre istituzioni così come criminalizzando chi critica e contesta; reali sono le diseguaglianze e la devastazione ambientale causate da poteri economici selvaggi; reale – grazie a studentesse e studenti che continuano a ricordarlo – è il genocidio in diretta dei palestinesi.
È reale l’orizzonte fosco, nero, in cui siamo immersi, ma proprio per questo è necessario agire e resistere in direzione contraria: non c’è un’unica via e non c’è una via già scritta. Le piazze lo ricordano. È l’insegnamento della nostra Costituzione, un realismo emancipante: gli ostacoli esistono, rimuoviamoli.
* Fonte/autore: Alessandra Algostino, il manifesto
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