Netanyahu festeggia Trump: «Nuovo inizio per Usa e Israele»

Netanyahu festeggia Trump: «Nuovo inizio per Usa e Israele»

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Il premier, la destra e i coloni si aspettano ora un appoggio incondizionato da Donald Trump dopo le «esitazioni» del predecessore. Hamas al tycoon: «Basta sostegno cieco a Tel Aviv». Tace l’Anp di Abu Mazen

 

GERUSALEMME. Non solo Benyamin Netanyahu e i suoi ministri, tanti israeliani hanno celebrato ieri il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Nei mercati, nei caffè, nei luoghi di lavoro a Tel Aviv come a Gerusalemme, il 66% degli israeliani emerso nei sondaggi come sostenitore di Trump contro Harris, ha dato sfogo alla sua felicità per la vittoria «del più grande alleato di Israele». Tra i più soddisfatti ci sono i coloni che già intravedono l’annessione a Israele della Cisgiordania palestinese. «È il momento della sovranità», ha twittato Yisrael Ganz, capo del Consiglio Yesha che riunisce gli insediamenti coloniali in Cisgiordania. Trump ci appoggerà «senza condizioni» come ha già fatto tra il 2016 e il 2020, dicono i coloni più fanatici, convinti che la sua vittoria sia parte di un «piano di Dio».

Il più contento però è Benyamin Netanyahu, tra i primi ieri mattina a congratularsi con Trump. «È il più grande ritorno della storia che rappresenta un nuovo inizio per l’America e un forte impegno verso la grande alleanza tra Israele e gli Stati uniti», ha scritto Netanyahu al presidente eletto. Ore prima aveva inviato un altro messaggio, indiretto, all’«amico» Joe Biden, annunciando il licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, uno degli interlocutori israeliani preferiti dell’Amministrazione uscente.

Per Netanyahu la sconfitta di Kamala Harris è stata una liberazione. Perché la vicepresidente e Joe Biden se da un lato hanno dato a Israele pieno appoggio militare e le armi e bombe di cui ha avuto bisogno per radere al suolo quasi tutta Gaza e il Libano del sud e per ad affrontare l’Iran, dall’altro hanno osato, agli occhi del premier, manifestare vicinanza ai civili palestinesi vittime di massacri quotidiani e portati alla fame dall’offensiva militare israeliana. Per Netanyahu quella in corso dalla sera del 7 ottobre 2023 è una «guerra giusta contro il terrorismo» volta a riportare a casa gli ostaggi israeliani a Gaza. Gli oltre 40mila palestinesi uccisi, tra cui migliaia di bambini, sarebbero morti tutti non per le bombe, ma a causa di Hamas. Non solo. L’Amministrazione Usa uscente, pensa il primo ministro israeliano, il mese scorso ha avuto l’ardire di porre un ultimatum a Israele condizionando i nuovi rifornimenti di armi a quelli di cibo, medicine e generi di prima necessità per i palestinesi di Gaza allo stremo.

Perciò quando i media americani hanno cominciato a indicare Trump come il nuovo presidente, Netanyahu e i suoi ministri hanno tirato un sospiro di sollievo. Ora il governo israeliano – con un nuovo ministro della Difesa, Israel Katz, e un nuovo capo della diplomazia, Gideon Saar – si aspetta un appoggio totale alle sue politiche da Trump che nel suo primo mandato, contro tutto il mondo, ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e la sovranità israeliana sulle alture del Golan siriano, oltre a negare fondi Usa alla «nemica Unrwa» e alle ong palestinesi e americane con progetti in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Senza dimenticare che nel 2018 Trump portò fuori unilateralmente gli Usa dall’accordo nucleare con l’Iran.

È presto per capire se la nuova amministrazione fornirà lo stesso sostegno alle politiche e alle guerre di Israele nella regione. Nel suo discorso di vittoria, Trump ha promesso che non farà guerre e fermerà quelle in atto. Si è riferito solo all’Ucraina oppure fermerà anche l’offensiva a Gaza e il possibile attacco israeliano alle centrali atomiche iraniane? La risposta arriverà tra qualche mese. Intanto si parla del nuovo Segretario di stato. Il preferito dagli israeliani è Mike Pompeo, già incaricato da Trump dopo il siluramento di Rex Tillerson. Ma questa possibilità è minima. I più quotati, secondo i media israeliani, sono l’ex ambasciatore Rick Grenell, il senatore Marco Rubio, l’ex consigliere per la sicurezza Robert O’Brien e il diplomatico Bill Hagerty. Sono tutti amanti dell’uso della forza e ardenti sostenitori di Israele.

Tra gli attori delle guerre in corso ci sono Hezbollah e Hamas, che non hanno mancato di commentare il successo di Trump. Il movimento sciita libanese inizialmente aveva detto che il vincitore ha più autorità di Harris per fermare l’attacco di Israele al Libano. Poi nel pomeriggio il suo nuovo leader, Naim Qassem, con tono battagliero ha affermato che «Il successo di Harris o Trump non ha alcun effetto sulle nostre posizioni. Solo una cosa porrà fine alla guerra: il campo di battaglia». Hezbollah ieri ha lanciato oltre 100 razzi verso Israele, prendendo di mira anche l’area di Tel Aviv. Un razzo è caduto vicino all’aeroporto Ben Gurion senza fare danni, mentre un uomo è rimasto ucciso a Kfar Masaryk. Hamas ha esortato Trump a mettere fine al «cieco sostegno degli Usa a Israele». Tace l’Anp del presidente Abu Mazen che durante il primo mandato di Trump fu totalmente isolata dagli Stati uniti.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto



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