Pulizia etnica nel nord di Gaza, ONU: l’80% delle vittime sono state uccise in casa

Pulizia etnica nel nord di Gaza, ONU: l’80% delle vittime sono state uccise in casa

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I dati Onu sui morti dal 7 ottobre 2023 mostrano il volto dell’offensiva israeliana: rendere l’enclave inadatta alla vita. Dei 400mila palestinesi della zona settentrionale ne restano 60mila, senza aiuti

 

«Circa l’80% delle vittime accertate sono persone uccise in edifici residenziali». Il dato, reso noto da un nuovo rapporto dell’Onu, non è solo un numero: è lo specchio del tipo di offensiva che le autorità israeliane hanno scelto di perseguire a Gaza. Lo avevano detto nelle ore immediatamente successive all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha ucciso 1.100 israeliani: a Gaza non ci sono civili innocenti. Da cui il bombardamento a tappeto degli edifici residenziali, ovvero le case. L’obiettivo militare è politico: rendere l’enclave palestinese inadatta alla vita, costringere più persone possibile ad andarsene e a nord sostituirle con coloni israeliani.

L’altra conseguenza del mettere nel mirino le abitazioni è un bilancio di vittime che non ha precedenti nelle guerre post-1945: ieri erano salite a 44.176 in 13 mesi (120 nelle ultime 48 ore), a cui va aggiunto un numero indefinito di dispersi, sui 10mila, un’oscillazione dovuta al ritrovamento di corpi scomparsi da tempo e nuovi cadaveri sotto le macerie. Un bilancio reale è impossibile, a Gaza sono saltate tutte le normali reti sociali di comunità e vicinato, nelle case ancora in piedi vivono famiglie sfollate da ogni parte della Striscia.

IERI L’AVIAZIONE israeliana ha colpito da nord a sud. Nella parte meridionale, a Khan Younis, l’esercito ha pubblicato su X un nuovo ordine di evacuazione, mentre al centro si sono intensificati gli attacchi soprattutto sul campo profughi di Nuseirat, teatro in questi mesi di molti dei peggiori massacri. Ieri è stata centrata la moschea al-Farooq. Nel campo di al-Bureij tre uccisi, un bambino e i suoi genitori; a Beit Lahiya nel mirino di nuovo l’unico ospedale operativo del nord, il Kamal Adwan, sotto assedio da inizio ottobre: due uccisi dal fuoco israeliano sparato sull’ingresso settentrionale.

«È in corso un assedio durissimo, niente cibo, acqua, aiuti, mentre le forze israeliane continuano a colpire l’ospedale – racconta la giornalista Hind Khoudary – L’entrata è stata colpita, così il tetto, le cisterne dell’acqua e il sistema dell’ossigeno. Non ci sono team di soccorritori e ci sono persone ancora intrappolate sotto le macerie». I colpi di venerdì, ha raccontato Hussam Abu Safia, direttore del Kamal Adwan, hanno ferito 12 membri dello staff e provocato danni seri «al generatore elettrico, alle reti dell’ossigeno e dell’acqua e terrorizzato i pazienti, compresi donne e bambini».

SECONDO I DATI dell’agenzia umanitaria dell’Onu Ocha, a nord sarebbero presenti ancora 60mila palestinesi dei 400mila pre-assedio iniziato il 6 ottobre scorso. L’espulsione forzata è stata realizzata con la forza come denunciato da inchieste giornalistiche e associazioni internazionali dopo il lancio (seppur ufficioso) del cosiddetto Piano dei Generali.

Ieri pomeriggio il portavoce delle brigate al Qassam di Hamas, Abu Obeida, ha annunciato la morte di un’israeliana ostaggio nel nord di Gaza, attribuendone la responsabilità a un raid israeliano. Di ostaggi Tel Aviv sembra non parlare più, con le voci critiche nel paese che leggono proprio nel Piano dei Generali il definitivo abbandono dei cento ancora a Gaza. Tra loro, i manifestanti che di nuovo ieri hanno protestato davanti alla residenza del presidente Herzog.



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