Voto in USA. Israele preferisce Trump, ma anche vincesse Harris per i palestinesi cambia poco
Per chi vive a Gaza e in Cisgiordania i due pretendenti alla Casa bianca sembrano «due facce della stessa medaglia». Solo l’Anp prega per la candidata democratica. Netanyahu non ha dubbi, aspetta solo la vittoria di The Donald per avere mano libera. Ma è grato a Biden per gli aiuti militari ricevuti, per questo tace
RAMALLAH. Walid Muyedin dopo decenni trascorsi negli Usa per motivi di lavoro, qualche anno fa è tornato al suo villaggio, Deir Dibwan, a pochi chilometri da Ramallah dove decine di abitanti hanno la cittadinanza statunitense. «Ho sentito forte il richiamo della mia terra, la Palestina, e sono tornato anche se l’occupazione (israeliana) ci crea tanti problemi», dice. In possesso anche lui del passaporto Usa, Walid avrebbe potuto votare, ma per un palestinese in Cisgiordania raggiungere l’ambasciata Usa, trasferita da Donald Trump nel 2018 a Gerusalemme, è impresa quasi impossibile di questi tempi. «Non avrei votato comunque» afferma «perché Harris parla di pace e poi assieme a Biden passa a Israele le bombe che uccidono la mia gente. Trump (se rieletto) darà tutto a Israele e niente ai palestinesi».
WALID HA SEGUITO con indifferenza la tappa di Kamala Harris domenica a Detroit, in cui la vicepresidente e candidata democratica ha tentato il tutto per tutto per portare dalla sua parte l’importante comunità arabo americana del Michigan, Stato che sarà determinante per l’elezione del presidente. «La morte di civili palestinesi innocenti a Gaza è inconcepibile», ha detto ai giornalisti, assicurando che, se eletta, farà tutto ciò che in suo potere per «porre fine alla guerra e liberare gli ostaggi (israeliani)» e per arrivare a una soluzione a Due Stati.
Difficile valutare l’impatto di queste parole su palestinesi, libanesi e arabi negli Usa, frustrati e arrabbiati con l’Amministrazione Biden-Harris che ha fatto molto poco fermare l’offensiva distruttiva di Israele contro Gaza e in Libano. «La posizione degli arabi negli Usa è condivisa da una ampia porzione di palestinesi (nei Territori occupati) – spiega al manifesto l’analista Hamada Jaber di Ramallah – in generale alla popolazione palestinese sotto occupazione non importa chi sarà presidente degli Stati uniti, perché affronta ogni giorno problemi molti gravi, in particolare a Gaza dove è in atto un genocidio. Inoltre, vede in Democratici e Repubblicani due facce della stessa medaglia».
NON SONO POCHI i palestinesi che si augurano che vinca Donald Trump, che pure ha realizzato in passato disegni e desideri del premier israeliano Netanyahu, come la presunta «proposta di pace» Accordo del Secolo, gli Accordi di Abramo tra lo Stato ebraico e quattro paesi arabi, il riconoscimento di Gerusalemme e del Golan siriano come parte di Israele e la legalizzazione di fatto delle colonie israeliane in Cisgiordania. «Il motivo di questa posizione palestinese – prosegue Jaber – in apparenza illogica, è legato alla imprevedibilità dell’ex presidente. Alcuni pensano che il modo di fare di Trump, le sue reazioni istintive potrebbero spingerlo a fare scelte scomode per Israele». Invece i democratici, aggiunge l’analista, «fanno promesse che poi non mantengono e alimentano la speranza che gli Stati uniti si impegneranno a far nascere lo Stato di Palestina, a cui crede solo il vertice dell’Autorità nazionale palestinese».
L’ANP IN QUESTE ORE prega che Kamala Harris diventi la presidente degli Stati uniti. Al quartier generale del presidente Abu Mazen a Ramallah ricordano bene i quattro anni di Trump alla Casa Bianca. Fu uno scontro frontale con l’Amministrazione Usa che, oltre a mantenere un atteggiamento di aperta ostilità nei confronti dei palestinesi, tagliò i finanziamenti a ong, a progetti infrastrutturali e sociali nei Territori sponsorizzati da USaid e all’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi, poi riattivati da Joe Biden. «Sarebbe un colpo mortale per noi mentre affrontiamo l’attacco di Israele al nostro lavoro. Trump, ne siamo certi, ci taglierà i fondi», dice un dipendente palestinese dell’Unrwa che ha chiesto di rimanere anonimo.
IN CASA ISRAELIANA è molto più lineare. Gran parte della popolazione ebraica vuole Trump presidente, perché è sicura che sarà con lo Stato ebraico senza fare pressioni e sollevare dubbi. Un sondaggio della tv Canale 12 nei giorni scorsi dava il 66% degli israeliani con l’ex presidente Usa e solo il 17% con Harris. Netanyahu e il suo governo restano in silenzio, ma non aspettano altro che il ritorno di Trump alla Casa Bianca. «Non sorprende – ci dice il professor Eitan Gilboa, analista del Centro Besa di Tel Aviv -, Netanyahu è grato a Biden per l’aiuto militare che ha dato a Israele. Però il presidente uscente non è in corsa e Kamala Harris non convince affatto il premier, perché appare influenzabile dagli ambienti più progressisti del Partito democratico e ha più volte criticato Israele per la situazione a Gaza. Con Trump, invece Netanyahu si sente tranquillo».
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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