A Gaza anche la guerra della fame: raid israeliano sul cibo e chi lo fornisce

A Gaza anche la guerra della fame: raid israeliano sul cibo e chi lo fornisce

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Palestina/Israele. A nord ucciso Chef Mahmoud, a sud tre operatori di World Central Kitchen e civili in fila per la farina. In Libano Tel Aviv viola di nuovo la tregua, negli attacchi muore anche un bambino

 

La famiglia ha aperto la prima mensa per i poveri a Beit Lahiya, la mia città natale nel nord di Gaza. Servivamo un semplice stufato di verdure – una rivisitazione di ricette tradizionali gazawi come la fogaiyya e la sumagiyya – fatto con qualsiasi verdura su cui riuscivamo a mettere le mani. Il primo giorno abbiamo sfamato 120 famiglie…Ormai la routine quotidiana è dignitosa e familiare. Nostra madre si sveglia alle prime luci dell’alba per sbucciare e preparare i prodotti, mio padre procura le spezie e io lavoro come responsabile operativo. Alle 7 una fila apparentemente infinita di famiglie affamate appare, pentole alla mano, fuori dalla casa dove prepariamo il cibo. Ogni giorno è necessaria una serie di piccoli miracoli».

INIZIAVA COSÌ il racconto che Mahmoud Almadhoun ha scritto per il Washington Post lo scorso aprile. Ieri mattina Chef Mahmoud, così lo conoscevano tutti, a Gaza e nel mondo grazie a Instagram, è stato ucciso da un drone israeliano. Come ogni giorno stava per raggiungere il Kamal Adwan Hospital a Beit Lahiya, un altro ospedale degli orrori.

Sotto assedio come tutta Gaza nord da due mesi, è circondato dall’esercito, preso di mira da droni e raid aerei. Uno dei suoi ultimi medici, Ahmad al-Kahlout, è stato ammazzato due giorni fa. Chef Mahmoud aveva perso suo fratello, la cognata e i quattro nipoti un anno fa. A primavera ha lanciato Gaza Soup Kitchen: grazie alle donazioni raccolte dal fratello negli Stati uniti, ha aperto altre piccole cucine in giro per la Striscia.

L’uccisione di Mahmoud Almadhoun è una delle forme assunte dalla guerra della fame, lunga ormai 14 mesi e che nel nord ha assunto dimensioni catastrofiche, tanto da spingere uno come Moshe Ya’alon (capo di stato maggiore durante la seconda Intifada e ministro della difesa nella devastante operazione Margine protettivo a Gaza nel 2014) a parlare in un’intervista a Democrat Tv di pulizia etnica: «La strada che stiamo percorrendo è quella dell’occupazione, dell’annessione e della pulizia etnica: trasferimento di popolazione, chiamatelo come volete, e colonie ebraiche».

IN CONTEMPORANEA al raid lassù a nord, a sud un bombardamento israeliano ha preso di mira un convoglio dell’ong statunitense World Central Kitchen a Khan Younis: tre operatori umanitari e cinque civili sono morti sul colpo, due persone giunte per soccorrerli sono state uccise in un secondo raid. Il convoglio trasportava aiuti alimentari lungo la Salah al-Din Road, «c’erano riso e altro cibo», racconta a Middle East Eye un testimone, Tamer Sammour. Tel Aviv ha confermato di aver condotto un «targeted strike» per colpire uno degli operatori che accusa di essere «un terrorista». L’ong nega.

Israele non ha mostrato prove e in ogni caso l’accusa non giustifica l’azione. Lo scorso aprile un altro convoglio di Wck era stato colpito nel centro di Gaza, due volte in pochi minuti: sette operatori uccisi, un palestinese e sei stranieri. All’epoca l’ong sospese le attività, ieri ha fatto lo stesso: «Wck gestisce molte cucine di comunità a Gaza – scrive la giornalista Hind Khoudary su al Jazeera – Dopo l’attacco di oggi, quelle cucine non hanno lavorato. Non è solo attaccare i palestinesi e le organizzazioni, è attaccare tutte le fonti di aiuti».

Ieri, sempre a Khan Younis, l’esercito ha ucciso dodici persone che stavano ricevendo pacchi di farina nella zona di Qizan al-Najjar. Nel cortile dell’ospedale al-Ahli un drone ha ucciso il 191esimo giornalista, Mamdouh Quneita di Al-Aqsa Tv. In serata la notizia del collasso di un palazzo a Jabaliya, si temono decine di vittime. Il totale dal 7 ottobre 2023 è di oltre 105mila feriti e quasi 44.400 uccisi, probabilmente al ribasso perché mancano all’appello migliaia di persone.

IN LIBANO l’esercito israeliano continua a rompere la tregua e dettare i tempi del ritorno a centinaia di migliaia di sfollati. Ieri ha rinnovato l’ordine di coprifuoco dalle 5 del pomeriggio alle 7 di mattina a sud del fiume Litani. Secondo i giornalisti sul posto, l’esercito libanese è impegnato a impedire ai civili di avvicinarsi al confine, così come previsto, eppure i raid colpiscono lo stesso, raid che Tel Aviv dice necessari a far rispettare a Hezbollah i termini della tregua. In uno dei bombardamenti a Majdal Zoun, contro un’auto, è stato ucciso un bambino. Secondo l’esercito israeliano si trattava di membri di Hezbollah con dei lanciarazzi.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati , il manifesto



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