Diritto all’abitare, sentenza d’appello sul comitato milanese condannato per «associazione»
Giambellino a Milano. È il primo caso in Italia. A giudizio nove attivisti che in primo grado hanno ricevuto condanne pesanti. Salis: «La conferma del teorema sarebbe un nuovo passo nella criminalizzazione delle lotte»
Alle 9.15 di questa mattina la Corte d’appello di Milano leggerà la sentenza sui nove attivisti del Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio condannati in primo grado per associazione a delinquere finalizzata a occupazione di immobili e resistenza a pubblico ufficiale. È il primo caso in cui l’ipotesi associativa contro esponenti dei movimenti per il diritto all’abitare, usata anche in altre città, è stata confermata durante il dibattimento. Le pene comminate nel novembre di due anni fa sono pesanti: da oltre cinque anni a uno e mezzo.
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Gli episodi incriminati partono nel 2015 e coprono un triennio. Un annetto prima nel quartiere nella periferia sud-ovest del capoluogo lombardo il comitato aveva preso sede in una portineria all’interno di un palazzo Aler, l’agenzia regionale dell’edilizia popolare. Da là gli attivisti realizzavano attività a favore del quartiere: mensa, ambulatorio, doposcuola, sportello di aiuto. Come altri collettivi che si battono per il diritto alla casa portavano solidarietà in occasione degli sfratti. Diversi appartamenti vuoti, lasciati nel degrado e nell’abbandono, sono stati occupati e trasformati in un tetto per persone che altrimenti si sarebbero trovate per strada.
Il faldone di inchiesta comprende oltre 600 pagine, decine di fotografie e migliaia di intercettazioni. Nel 2018 erano scattati gli arresti domiciliari per alcuni indagati. Oltre all’associazione a delinquere, ci sono le accuse di occupazione e resistenza. Inizialmente si era parlato perfino di racket, soldi in cambio di case, «soggetti che vogliono sostituirsi allo Stato». Quest’ultima accusa è l’unica che gli attivisti non hanno respinto: effettivamente cercavano di dare risposte sul piano abitativo dove le istituzioni non arrivano. Nel processo di primo grado il giudice ha escluso qualsiasi obiettivo economico, non è uscita mezza prova su passaggi di denaro. Tutte le attività, anche quelle fuori dal perimetro a volte angusto della legge, avevano scopo solidale.
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Persino l’accusa di resistenza poggia su basi fragili: nei sei-sette episodi incriminati non si sono registrate violenze. «L’effetto intimidatorio verso le forze dell’ordine viene dedotto dal numero di persone che si riunivano in occasione degli sgomberi», afferma il legale della difesa Eugenio Losco. Che aggiunge: «Il nostro appello si basa sull’insussistenza del reato associativo. Non si può considerare come un’organizzazione a delinquere un gruppo di ragazzi impegnati nel far fronte all’emergenza abitativa di persone bisognose, a cui lo Stato non dà risposte».
L’Aler e la destra cittadina accusano i movimenti di occupare alloggi che altrimenti sarebbero assegnati, allungando le liste d’attesa. Una tesi, smentita dai dati, che ieri l’eurodeputata Ilaria Salis ha attaccato in un video girato al Giambellino: «A Milano ci sono più case vuote che persone in graduatoria: la colpa è degli enti gestori, che non si occupano neanche della manutenzione. Invece vengono accusati movimenti e comunità solidali. Se fosse confermata l’associazione a delinquere sarebbe un nuovo passo nella criminalizzazione delle lotte».
* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto
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