Gaza, le responsabilità italiane nello sterminio dei palestinesi

Gaza, le responsabilità italiane nello sterminio dei palestinesi

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L’assemblea sull’esposto alla Procura di Roma sulla complicità nelle atrocità commesse nella Striscia

 

ROMA. Ieri mattina negli spazi della Città dell’altra economia a Roma si è tenuta un assemblea pubblica per parlare della sorte di un esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma presentato a maggio. Esposto che chiede un’indagine sulle responsabilità del governo italiano nel sostegno militare e politico al genocidio portato avanti da Israele nella striscia di Gaza. Erano presenti come relatori, oltre ad alcuni degli avvocati firmatari dell’esposto, l’ex magistrato e sindaco di Napoli Luigi de Magistris, Raffaele Cardin, professore di Diritto internazionale alla Sapienza di Roma, Giacinto Signori, ex presidente della Corte di cassazione e l’avvocato Gianluca Vitale. Quest’ultimo è uno dei 4 legali che, insieme all’avvocato gazawi Salahaldin Abdalaty, in aprile hanno presentato al Tribunale di Roma un ricorso che cita in giudizio il governo italiano  per «corresponsabilità civile» nelle «violazioni ai diritti umani commesse a Gaza dalle autorità israeliane». Vitale racconta che il processo sta proseguendo con scarsi risultati. Ad oggi il procedimento va avanti con diverse sentenze che non danno in nessun modo ragione della denuncia di complicità mossa al governo italiano.

Simile ma diverso è invece l’iter che l’esposto, per il quale è stata convocata l’assemblea di ieri, sta seguendo. Le 29 pagine presentate da una squadra di avvocati, tra i quali ieri presenti vi erano Fabio Marcelli, Claudio Giangiacomo e Arturo Salerni, non lasciano nulla al caso e tramite la descrizione dei fatti e delle scelte dal Governo, sostanziano l’accusa di complicità dell’Italia nel genocidio in corso a Gaza. Sono molti i punti su cui le accuse vengono mosse all’esecutivo: «Parliamo dei responsabile delle scelte dell’Italia a livello governativo, quindi presidente del Consiglio e ministri di Difesa ed Esteri» specifica Fabio Marcelli. Le accuse di sostegno militare, economico e politico a Israele da parte dell’Italia sono sostenute da dati dell’Istat che contraddicono le parole del ministro degli Esteri Tajani che in diversi incontri con la stampa ha sempre ribadito che Roma non vende più armi ad Israele dal 7 ottobre. I dati dell’Istat però evidenziano come invece armi italiane siano arrivate in Israele anche dopo il 7 ottobre, per un totale di 817.836 euro solo nei mesi di ottobre e novembre dello scorso anno, e come i contratti in essere con il governo di Tel Aviv non siano ad oggi sospesi.

Questo commercio è regolamentato dalla legge 185 del 1990 che vieta espressamente la vendita di armi e forniture militari a paesi impegnati in un conflitto in contrasto con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni unite e a paesi in cui si configurano gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani accertate dai competenti organi delle Nazioni unite. Alla vendita di armi si aggiungono le scelte politiche dell’Italia in sede Onu, come le ripetute astensioni sulle votazioni che richiedevano il cessate il fuoco a Gaza e la fine dell’occupazione israeliana, ma anche la scelta di tagliare i fondi all’Agenzia Onu per i profughi palestinesi (Unrwa). L’esposto poi vuole mettere in evidenza come sono molteplici le risoluzioni delle Nazioni unite che hanno provato a punire la condotta di Israele negli ultimi 75 anni, risoluzioni alle quali però Tel Aviv non ha mai dato seguito. Un comportamento che secondo quanto scritto nell’esposto in questione «costituisce l’humus su cui è cresciuta malapianta del genocidio». Quindi la condotta dell’Italia sulla questione «appare del tutto inadeguata e integra anzi in modo palese gli estremi della complicità nei confronti delle rilevate condotte genocide».

Simile nel contenuto alla denuncia fatta ad aprile da Salahaldin Abdalaty, insieme a i 4 colleghi italiani, l’esposto di maggio ha avuto diverso proseguimento. In più di 6 mesi «non abbiamo avuto segnali di vita da parte della Procura» dice Fabio Marcelli che ribadisce «non c’è grande disponibilità nemmeno a incontrarci e questo ci dispiace, perché vorremo avere un rapporto con la magistrature che a nostro parere è tenuta a far rispettare gli impegni internazionali dell’Italia più che mai su questo tema».

* Fonte/autore: Filippo Zingone, il manifesto



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