Germania, gli operai fermano Volkswagen contro i licenziamenti
Sciopero nei nove siti di produzione. Abbandonate da manager e dal governo, le tute blu Ig Metall pronte al blocco totale
BERLINO. Braccia incrociate in nove delle dieci fabbriche nazionali di Volkswagen e catene di montaggio destinate alla produzione di due milioni di veicoli rallentate fino a passo di lumaca. «Questo risultato è solo l’inizio. Se non funzionerà lo sciopero di avvertimento, il prossimo passo sarà il blocco totale degli stabilimenti per ventiquattro ore» avvisa il delegato del sindacato Ig Metall di Wolfsburg dopo aver contabilizzato lo straordinario impatto del primo giorno della protesta generale degli operai di Vw innescata dalla rottura del tavolo di trattative con il Cda dell’azienda di venerdì scorso.
«IL SALARIO NON SI TOCCA. Non siamo disposti a chinare la testa di fronte al piano di licenziamenti annunciato dai dirigenti che hanno sistematicamente bocciato tutte le nostre proposte alternative per salvare i posti di lavoro. La tregua sindacale che abbiamo garantito finora è finita. Ora non ci resta che il confronto frontale» confermano le tute blu con la giacca rossa della Ig Metall ai cancelli delle fabbriche in Assia, Bassa Sassonia, Nordreno-Vestfalia, ma anche nella Germania-Est che a detta dei manager del Gruppo doveva essere risollevata dalla rivoluzione dell’auto elettrica.
Esattamente a Zwickau, nel cuore della Sassonia, davanti allo stabilimento che fino al 1990 stampava in serie la Trabant (l’altra «auto del popolo» dei tedeschi orientali) esplode il misto di rabbia, timore, senso di abbandono dei lavoratori chiamati a pagare il conto finale della «gestione fallimentare da parte dei manager». Stessa storia a Chemnitz, l’ex Karl Marx Stadt, dove ora si produce buona parte dei motori del Gruppo, ma anche a Dresda, capitale della Sassonia, al centro dell’orbita della componentistica Vw. Anche lì, come nel resto del Paese, ieri gli operai si sono astenuti dal lavoro a blocchi di due facendo funzionare la produzione a singhiozzo, come prevede la pratica dello sciopero di avvertimento.
DI FRONTE ALLA SOLA offerta contenuta nel piano di tagli dei vertici di Volkswagen – taglio del 10% dello stipendio mensile e fine dei bonus concordati nel patto firmato con il Consiglio di fabbrica- il punto fermo degli operai Vw della Germania dell’Est non si limita al no ai licenziamenti. «Vogliamo il salario aumentato del 7% e 170 euro in più al mese nella busta paga dei giovani tirocinanti» rilanciano sollevando il problema che qui è inter-generazionale.
«NON CI SONO PROGETTI di rilancio ma unicamente di riduzione del personale» riassumono gli operai di Zwickau. Da qui il coro «Siamo stufi» cantato davanti ai cancelli: «Hanno incrociato le braccia in 4.500» fa sapere la Ig Metall dopo avere avviato lo “stop and go” della produzione alle 9.30. Alla stessa ora 500 colleghi di Chemnitz sfilavano con i cartelli di protesta, seguiti nel pomeriggio dai dipendenti della fabbrica di Dresda. Abbandonati dai manager ma anche dagli esponenti di spicco del governo che si guardano bene dal mettere piede nei presidi Ig Metall quando mancano tre mesi al voto che sancirà la fine del loro mandato.
SU TUTTI, NELLA CLAMOROSA fuga dalla crisi industriale Vw si distingue il cancelliere Olaf Scholz impegnato nella visita «a sorpresa» a Kiev per annunciare l’invio del «nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina di 650 milioni di euro». Una missione letteralmente impossibile. Non solo Scholz fra 13 giorni verrà sfiduciato al Bundestag ma anche il «nuovo» stanziamento non è affatto tale, dato che non sono stati approvati ulteriori aiuti finanziari a Kiev. Così riportano le carte ufficiali, e così conferma chi a Berlino si è occupato di scrivere il bilancio del governo Scholz e garantisce come l’unica eventualità è che Scholz abbia promesso «fondi già stanziati in procinto di essere consegnati».
Una mossa da campagna elettorale dello spitzenkandidat Spd, utile forse per smarcarsi anche dall’accusa proveniente dall’Ue che gli rinfaccia per iscritto il suo fermo rifiuto all’invio a Kiev dei missili Taurus, ma certo inadatta a convincere i tedeschi che la difesa armata dell’Ucraina sia una priorità rispetto alla crisi di Volkswagen.
Specie se i soldi pubblici per il sostegno alla guerra in Ucraina ufficialmente a Berlino non manchino mai, al di là degli artifizi contabili, mentre non si trovano per risollevare il colosso europeo dell’automotive, la cui proprietà per un quinto appartiene al Land della Bassa Sassonia, che si prepara a licenziare nel medio periodo fino a 150 mila lavoratori non più necessari alla produzione.
IN OGNI CASO IL TEMPO di scaricare sulle aree povere del Paese la crisi industriale che mette in ginocchio prevalentemente la Germania dell’Est è finito. Con 15.500 dipendenti, Baunatal, vicino a Kassel, è il più grande stabilimento della filiera Vw. Gran parte delle trasmissioni delle auto elettriche viene assemblato qui, nel cuore della Germania-Ovest, ed è un problema politico.
* Fonte/autore: Sebastiano Canetta, il manifesto
ph Ig-Metall
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