Gran Bretagna. Ondata repressiva, attivisti ambientalisti in carcere
LONDRA. La Gran Bretagna non è un paese per (i propri) dissidenti. Gli attivisti che trascorreranno le feste natalizie dietro le sbarre – esemplari vittime di una repressione draconiana che punta a scoraggiare proteste comunque destinate solo ad aumentare – sono attualmente circa una quarantina.
La nazione che da sempre ha dato asilo ai perseguitati politici da tutto il mondo sta reprimendo le proteste interne – soprattutto quelle legate al disfacimento climatico e al genocidio a Gaza – con una durezza dal lezzo autoritario.
Sono vittime del Serious Disruption Prevention Orders, una legge messa in vigore lo scorso aprile dall’allora governo conservatore che punta a impedire quelle azioni di disturbo e quei blocchi del traffico diventati la principale strategia di gruppi ecologisti come Extinction Rebellion e soprattutto Just Stop Oil. Proprio di quest’ultimo movimento – il più duramente represso dal governo – fanno parte una ventina degli attivisti, tra i venti e i sessant’anni, in carcere: in particolare quelli puniti con reclusioni di svariati anni per aver “cospirato” all’interruzione del traffico sulla M25, una delle maggiori arterie autostradali inglesi.
Tra loro anche Roger Hallam, già fondatore di XR, e Phoebe Plummer e Anna Holland, le due ventenni che avevano imbrattato di minestra confezionata i Girasoli di Van Gogh alla National Gallery un paio di anni fa. L’altra ventina di manifestanti erano stati arrestati durante i cortei pro-Palestina: dopo il massacro del 7 ottobre e la successiva mattanza di civili palestinesi che ancora non vede la fine, un certo numero di attivisti ecologisti ha infatti abbracciato la causa palestinese.
Dietro questa legge ovviamente c’era il partito conservatore, al potere dall’ultimo quindicennio: il Public Order Act – il disegno di legge presentato nel 2022, entrato recentemente in vigore e di cui fanno parte le misure – è soprattutto opera della staffetta reazionaria e xenofoba Tory delle ministre dell’Interno Priti Patel e della succeditrice Suella Breverman.
È anche grazie a loro se il paese è diventato leader mondiale nella repressione legale dell’attivismo climatico: secondo uno studio pubblicato di recente, la polizia vi arresta manifestanti ambientalisti a un tasso quasi tre volte superiore alla media globale.
È la denuncia dell’associazione per i diritti civili Liberty a evidenziare questo sopruso, dopo aver definito la legge «lo svergognato tentativo» da parte del governo di reprimere il diritto a manifestare.
Un simile status quo repressivo era stato già lamentato dall’alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite Volker Turk, che nell’aprile dell’anno scorso non aveva esitato a definirle profondamente inquietanti chiedendone pubblicamente l’abrogazione.
«Questa legge è del tutto inutile: la polizia britannica ha già il potere di agire contro manifestazioni violente e dirompenti», aveva commentato Turk, chiedendo inoltre al governo del Regno Unito di «revocare questa legislazione il prima possibile».
Gli aveva fatto eco Michel Forst, Relatore speciale Onu sui difensori/difenditrici dei diritti umani dal giugno dello scorso anno, descrivendo la situazione nel Regno Unito come «terrificante».
Gli altri paesi stanno «guardando agli esempi del Regno Unito con l’obiettivo di approvarne di propri, che avranno un effetto devastante per l’Europa», aveva aggiunto preveggente lo stesso Forst.
Le destre al potere in mezza Europa non se ne stanno infatti con le manette in mano: le autorità tedesche, francesi, italiane e olandesi hanno tutte risposto alle proteste per il clima degli ultimi anni con arresti di massa, nuove leggi repressive, l’imposizione di pene severe per le manifestazioni non violente e la bollatura degli attivisti come “teppisti”, “sabotatori” o “eco-terroristi.”
* Fonte/autore: Leonardo Clausi, il manifesto
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