Israele occupa un altro pezzo di Golan in Siria

Israele occupa un altro pezzo di Golan in Siria

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Netanyahu rivendica il crollo del Baath. Smotrich ora vuole tutta Gaza. Tra le opposizioni stessa musica: «anello di fuoco israeliano»

 

Erano passate poche ore dall’annuncio della caduta di Bashar Assad, domenica, quando il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu è apparso sulle Alture del Golan occupato per celebrare e rivendicare la fine del regime Baath.

NE HA APPROFITTATO per fare altro: annunciare il collasso dell’accordo di disimpegno siglato con la Siria nel marzo 1974 e che disegnava la cosiddetta Linea Alpha, a separare il territorio siriano da quello occupato da Israele. Il ritiro dell’esercito siriano e la caduta della dinastia che ci aveva messo la firma a Tel Aviv basta e avanza, l’accordo è «nullo». Immediatamente le truppe israeliane – già schierate in abbondanza alla frontiera – hanno «sfondato» e occupato la zona cuscinetto, fino a spingersi ieri verso la città siriana di Quneitra. A pubblicare le immagini dei carri armati in terra siriana è stato lo stesso esercito, mentre gruppi di paracadutisti il giorno prima si erano fatti immortalare in cima al lato siriano del Monte Hermon, a ben dieci chilometri di distanza dalla Linea Alpha. Ieri il ministro della difesa Israel Katz ha ordinato alle forze armate di completare l’assunzione del controllo della buffer zone e di creare «una zona di sicurezza libera da armi strategiche e infrastrutture terroristiche».

Domenica Netanyahu aveva tenuto a precisare che l’occupazione è una misura temporanea (ma da queste parti alla «temporaneità» delle azioni israeliane non crede nessuno) e difensiva, volta a impedire a gruppi ostili di avvicinarsi alla frontiera. Stesso obiettivo avrebbero avuto, secondo le dichiarazioni israeliane, i pesanti raid che domenica e di nuovo ieri hanno di nuovo colpito la Siria, da Damasco a Daraa.

Domenica è toccato alla capitale, con i raid incuranti della gente in strada a festeggiare la caduta di Assad. Israele ha centrato la sede dell’intelligence siriana, provocando un incendio che ha alzato su Damasco una densa colonna di fumo nero. Colpiti anche la sede della dogana (un edificio civile, dunque) e un centro di ricerca.

I BOMBARDAMENTI israeliani hanno causato danni ingenti, secondo la Reuters, anche alle palazzine vicine. Nelle ore precedenti era stata bombardata la base aerea di Sweida. Ieri mattina è stata la volta di Daraa, nel sud, e in serata del porto occidentale di Latakia, dove è di stanza la principale base russa: anche in questi casi le autorità israeliane hanno giustificato l’azione con l’intenzione di impedire a soggetti ostili di impossessarsi delle armi del fu esercito siriano. A confermarlo è il ministro degli esteri Gideon Sa’ar, che ha parlato di raid su sistemi d’arma e sistemi lancia-missili. In meno di 48 ore, Israele ha bombardato la Siria più di cento volte.

Insomma, Israele avanza via terra e via aria (è l’unico paese che da giorni bombarda la Siria), riscrive confini e calpesta il diritto internazionale, con interpretazioni surreali: la Siria coincide con il suo regime, come il Libano con un partito-milizia, nessuna sovranità riconosciuta agli Stati, tanto meno ai popoli.

E se il presidente statunitense Joe Biden domenica sera è arrivato a dire che è grazie all’alleato israeliano e alla brutale e sanguinaria guerra scatenata contro il Libano se Assad è caduto, i ministri di Tel Aviv e le opposizioni al governo danno un’identica lettura degli eventi: quanto sta accadendo in Siria è parte di una più ampia trasformazione degli equilibri (o meglio, squilibri) mediorientali. Il ministro Sa’ar parla di un avanzamento nella soluzione negoziale per gli ostaggi israeliani a Gaza, quello delle finanze Smotrich va oltre rivendicando il collasso del Baath («i nemici vengono distrutti grazie al potere dell’Idf») e chiedendo di più, «approfittare della disintegrazione dell’asse del male per colpire con forza l’Iran…e completare l’occupazione di Gaza».

LA MUSICA non cambia sul fronte delle opposizioni. L’ex capo di stato maggiore ed ex ministro della difesa Benny Gantz, allo stesso modo, ha descritto la fuga di Assad come «un’opportunità di proporzioni storiche» e puntato alla preda più succosa, l’Iran, suggerendo di creare «un anello di fuoco» israeliano nella regione attraverso la normalizzazione con i futuri – come spera – Siria e Libano. Non troppo lontano dalla visione di Netanyahu che ieri sera, in conferenza stampa, ha sentenziato: «Stiamo trasformando la faccia del Medio Oriente».

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto



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