Rapporto sul Sudan delle Nazioni unite: conflitto in Darfur catastrofico, colpiti civili e operatori umanitari
Dall’inizio del conflitto si contano 150mila vittime e 12 milioni di profughi interni o rifugiati nei Paesi vicini
Secondo un rapporto sul Sudan delle Nazioni unite pubblicato venerdì 20 dicembre almeno «780 civili sono stati uccisi nell’ultimo periodo a el-Fasher», diventata l’epicentro del conflitto che vede contrapposte le Forze armate sudanesi (Fas), guidate dal generale Abdel Fattah Al-Burhan, e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohammed Hamdan Dagalo.
Con oltre due milioni di abitanti – di cui 800mila profughi – el-Fasher è l’unica capitale dei cinque stati del Darfur a non essere nelle mani dei paramilitari delle Rsf e in questi mesi è diventata il principale centro di rifugio dei profughi e di raccolta degli aiuti umanitari, in un’area duramente colpita dalla carestia.
Dallo scorso maggio le Rsf hanno aumentato le proprie forze nel tentativo di prendere il controllo di tutto il Darfur – regione ricca di giacimenti d’oro e fondamentale snodo per ricevere forniture militari dal Ciad – ed hanno lanciato un assedio alla città, radendo al suolo i villaggi della zona e uccidendo tutti i civili di etnia non araba, in particolare i massalit e gli zaghawa. «Pulizia etnica e crimini contro l’umanità» confermati da Human Rights Watch (Hrw), che ha sollevato la possibilità di un «genocidio in atto».
Proprio per questo motivo alcuni dei gruppi armati locali presenti nell’area si sono uniti per respingere gli assalti degli uomini di Dagalo: il Sudan liberation movement (Slm) guidato dal governatore locale Minni Minnawi e il Justice and equality movement (Jem) di Gibril Ibrahim, che hanno rinunciato alla loro neutralità per combattere a fianco delle Fas.
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«Questa situazione allarmante non può continuare. Le Rsf devono porre fine a questo orribile assedio ed esorto tutte le parti in conflitto a cessare gli attacchi contro i civili, le zone residenziali e i campi profughi, nel rispetto del diritto internazionale» ha indicato durante l’audit Volker Türk, alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani.
L’ultima risoluzione votata dal Consiglio di sicurezza del 13 giugno 2024 chiedeva «la fine dell’assedio di el-Fasher per preservare la vita dei civili». Come risposta i miliziani delle Rsf non solo hanno intensificato i loro attacchi contro l’ospedale saudita – l’unico ancora operativo, colpito diverse volte dai bombardamenti – e le aree residenziali nella zona orientale e meridionale della città, ma anche il vicino campo profughi di Zamzam, causando «oltre 60 vittime questa settimana», come indicato dal quotidiano Sudan Tribune.
Violenze che non colpiscono solo i civili, ma anche gli operatori umanitari. Giovedì, uno degli uffici del Programma alimentare mondiale (Pam) è stato preso di mira da un bombardamento aereo a Yabus, nello stato del Nilo azzurro, causando la morte di tre operatori delle Nazioni unite impegnati a fornire aiuti umanitari per una delle «crisi alimentari più gravi al mondo», che vede a «rischio di grave denutrizione oltre 25 milioni di persone», la metà della popolazione in Sudan.
Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto «inorridito riguardo all’attacco e alle continue notizie di violenze provenienti dal Sudan», rinnovando il suo appello alle parti in conflitto – entrambe accusate di bloccare e derubare gli aiuti umanitari – a «rispettare i loro obblighi di proteggere i civili, compreso il personale umanitario, nonché le strutture e le forniture umanitarie».
Guterres ha nuovamente sollecitato la comunità internazionale nel «trovare una soluzione per un cessate il fuoco immediato», in un conflitto, definito «catastrofico» che fino a oggi ha causato oltre 150mila vittime e 12 milioni di profughi interni o rifugiati nei Paesi vicini.
* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto
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