Siria. Per il dopo Assad si profila un modello capitalista, ma con le casse vuote
Il paese sotto sanzioni da anni e impoverito non dispone di fondi per la ricostruzione. Il pericolo del ruolo delle monarchie del Golfo
La vita riprende a Damasco. Le banche hanno riaperto e così tanti negozi. Anche lo storico suq Hamidiyah si è rianimato. Il coprifuoco è stato revocato e quella di ieri è stata la prima sera senza particolari restrizioni. La scena è dominata dagli insorti jihadisti, che vengono vezzeggiati da tante persone. Invece chi non sta con Hay’at Tahrir al Sham (Hts) e gli altri gruppi anti-Assad resta a casa, esce solo per procurarsi cibo. I segnali non sono chiari. «Ripristineremo piena sicurezza e ordine», ha proclamato il nuovo capo della polizia, Fouad al Shami, uno dei comandanti della Amministrazione delle Operazioni Militari (Moa), la coalizione armata guidata (e dominata) da Hts. «Non ci fermeremo finché non saranno ristabiliti la sicurezza e l’ordine in ogni parte del paese», ha aggiunto. Toni rassicuranti che cozzano con quelli da vendetta usati da Abu Mohammad al Julani (il vero nome è Ahmed al Sharaa), il comandante di Hts, per annunciare che saranno braccati coloro che sono sospettati di aver praticato torture o ucciso detenuti politici e oppositori. Per loro non ci sarà grazia, ha avvertito. In queste ore continuano ad arrivare da ogni parte della Siria notizie e immagini di esecuzioni sommarie di civili e militari presunti «agenti del regime di Bashar Assad».
Sul piano politico la bandiera jihadista, con la professione di fede islamica, è apparsa in bella mostra alla prima riunione del «governo di transizione siriano», presieduto dal premier ad interim Muhammad Bashir nominato (esclusivamente) da al Julani. Bashir, che domani terrà una conferenza stampa in cui potrebbe annunciare alcune misure concrete, in varie interviste, tra cui quella al Corriere della Sera, ha detto che il suo obiettivo è riportare in Siria milioni di rifugiati e fornire servizi di base. Ma ha anche sottolineato che la sua azione si presenta complessa considerando che le casse dello stato sono vuote. Contro Bashar Assad e la Siria, i paesi occidentali, con gli Usa in testa, hanno attuato per più di dieci anni sanzioni economiche durissime che hanno impoverito il paese e la sua popolazione, impedito la ricostruzione e affossato i servizi pubblici. Inoltre, i giacimenti di petrolio nel nord e nell’est della Siria sono rimasti nelle mani dell’Autonomia curda, con perdite per Damasco di miliardi di dollari.
Bashir ha riferito che la Banca centrale «non ha valuta estera» e il dinaro siriano è precipitato. Ricostruire la Siria, perciò, sarà un compito colossale. Le città sono in parte distrutte, ampie zone di campagna sono spopolate e abbandonate e il rientro in massa di milioni di rifugiati rischia di aggravare ulteriormente la condizione generale della popolazione. Il pericolo è che le solite monarchie sunnite del Golfo – il Qatar pronto a riaprire la sua ambasciata a Damasco, gli Emirati e l’Arabia saudita – intervengano con finanziamenti per la ricostruzione finalizzati a dare anche una impronta più religiosa e settaria alla Siria, approfittando del carattere integralista del regime che si sta instaurando.
In ogni caso la Siria sarà capitalista e liberista e adotterà un modello di libero mercato ha annunciato ieri il capo della camera di commercio di Damasco Basel Hamwi in una intervista alla Reuters. In realtà, la Siria «socialista» non esisteva più da oltre venti anni. Bashar Assad dopo il suo insediamento aveva dato una svolta capitalista all’economia, mettendo fine in gran parte al welfare diffuso portato avanti dal padre Hafez e dal partito Baath. «Sarà un sistema di libero mercato basato sulla concorrenza», ha detto Hamwi rivolgendosi agli uomini d’affari siriani, arabi e occidentali. Non si sbilancia il ministro ad interim dell’economia, Bassel Abdul Aziz. Per ora si è saputo solo che il sistema doganale, tanto contestato perché ritenuto «asfissiante», sarà abolito.
Occorrono investimenti ingenti se si vuole permettere il ritorno in Siria agli appartenenti alla classe media laica e istruita fuggiti negli anni passati. Non poco dipenderà dalle misure sociali e politiche che adotterà Hts. Dovrà dimostrare con i fatti di non essere più una organizzazione jihadista che aveva come obiettivo quello di abbattere il potere dell’«infedele alawita» Assad per consegnarlo alla maggioranza sunnita del paese.
Le casse vuote della Siria preoccupano anche l’Iran, principale alleato e finanziatore per anni di Damasco. Uno dei dibattiti emersi a Teheran riguarda se la Siria post-Assad ripagherà mai il debito con l’Iran accumulato negli ultimi 14 anni. Ciò alla luce dell’ostilità delle nuove autorità sunnite di Damasco nei confronti dell’Iran sciita. Non ci sono dati pubblici sul debito della Siria. Tuttavia, le stime che stanno facendo il giro dei social iraniani sono di 30 forse 50 miliardi di dollari.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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