Avanza il colonialismo israeliano: «Il Libano è nostro», il raduno dei coloni per prendersi il sud

Avanza il colonialismo israeliano: «Il Libano è nostro», il raduno dei coloni per prendersi il sud

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Medio Oriente. «Uri Tsafon», il movimento della destra religiosa che preme per annettere a Israele la fascia meridionale del paese vicino

Già lo scorso anno, ad aprile e poi in estate, decine di israeliani attivisti e simpatizzanti della destra religiosa si erano riuniti nei pressi di Haifa per invocare la colonizzazione del Libano del sud, oltre che di Gaza, e l’annessione della Cisgiordania. Martedì scorso sono passati dai raduni a una sorta di conferenza sulle linee di confine, approfittando del cessate il fuoco con il movimento sciita libanese Hezbollah.

UN CENTINAIO in tutto, alcuni provenienti dalla Cisgiordania occupata. In un punto del villaggio beduino Arab al Aramshe, sul confine, si sono fermati ad ammirare la terra libanese che chiedono di occupare. Quindi hanno raggiunto il parco vicino al Kibbutz Adamit per declamare le ragioni, religiose e di «sicurezza» che, a loro dire, impongono di occupare il territorio meridionale libanese. «Ciò che sappiamo ora lo sapevamo anche prima della guerra: questa è la nostra terra», ha detto un attivista di «Uri Tsafon», il movimento che preme per colonizzare il Libano del sud. «La Terra di Israele» si legge sul sito del movimento «non cessa di essere la Terra di Israele anche se lo Stato decide di ritirarsi da essa… Più cerchiamo di fuggire da essa, più la terra ci insegue. Ciò è accaduto a Gaza e ora in Libano».

IN PARALLELO alla campagna della nota settler Daniela Weiss, volta a ricostruire gli insediamenti ebraici a Gaza – evacuati nel 2005 per decisione del premier israeliano scomparso Ariel Sharon -, i membri di «Uri Tsafon» intendono dare nuova vita a un vecchio progetto di correnti del movimento sionista, prima della creazione di Israele, di allargare i confini dello stato nascente in Libano. D’altronde una parte dei cristiani maroniti libanesi, con la loro Chiesa in prima linea, aveva accolto con favore l’insediamento non musulmano in Medio oriente. Così, scrive il saggista David Hirst nel suo Beware of Small States, alcuni sionisti proposero che un terzo del Libano diventasse parte di Israele. Nel 1948 le milizie sioniste catturarono anche 13 piccoli centri libanesi e, riferisce sempre Hirst, 80 abitanti del villaggio di Hula e 94 di Saliha furono uccisi. Poi si ritirarono.

«L’UNICO MODO per garantire la sicurezza di Israele è una presenza militare nel Libano meridionale. E perché sia permanente, dobbiamo anche costruire comunità lì», hanno ripetuto in coro i coloni e le loro famiglie giunti a inizio settimana al confine con il Libano, imitando l’iniziativa con organizzata a novembre da Daniela Weiss, con la presenza di diversi ministri e parlamentari, nei pressi del kibbutz Beeri, a ridosso di Gaza.

«Uri Tsafon», prende il nome da un versetto biblico che significa «Risvegliati Nord» ed è dedicato alla memoria di Yisrael Socol, un soldato morto a Gaza un anno fa che, racconta la sua famiglia, sognava colonie israeliane a Gaza e in Libano. «Yisrael e io spesso parlavano di stabilirci un giorno in Libano. È una terra che deve essere nelle nostre mani», afferma Yaakov Socol, fratello di Yisrael. Dopo la morte del soldato, un leader dei coloni ha raggiunto la famiglia Socol e con essa ha dato vita a «Uri Tsafon». Il progetto è cresciuto rapidamente: i suoi forum WhatsApp ufficiali vantano migliaia membri da tutto il paese. In questi spazi virtuali, i membri delle chat condividono critiche alla politica «docile» di Israele, suggeriscono nomi ebraici con cui sostituire quelli delle città libanesi esistenti, e postano pubblicità per future gite in kayak nel sud del Libano.

NON È FOLKLORE politico. Le intenzioni sono concrete. Dopo i bombardamenti aerei di Israele e la distruzione, in qualche caso quasi totale, dei villaggi libanesi nella fascia di 5-6 chilometri dal confine, i coloni di «Uri Tsafon» si dicono certi che l’esercito non lascerà tutto il Libano del sud come prevedono i termini della tregua con Hezbollah. Una percezione non infondata perché la stampa locale giorni fa riferiva che le forze armate si preparano a restare in territorio libanese oltre i 60 giorni indicati dall’accordo di cessate il fuoco. Quando a inizio settimana, i coloni sono arrivati al posto di guardia al limite settentrionale, diversi ragazzi hanno attraversato il confine e rimasti lì fino a quando non sono stati riportati indietro dai soldati. Qualche settimana prima, diversi attivisti di «Uri Tsafon» avevano montato tende in Libano prima di ricevere l’ordine di tornare indietro. A novembre fece clamore l’uccisione del colono, presunto archeologo, Zeev Erlich, colpito dai combattenti di Hezbollah mentre cercava «prove» della appartenenza del Libano del sud alla biblica «Eretz Israel» (Terra di Israele).

RAGGIUNTA la foresta di Hanita, i coloni martedì si sono fermati accanto alla torre di avvistamento Homa u’migdal che ricorda come, in risposta alla rivolta palestinese del 1936-39, 57 kibbutz e moshav furono costruiti dal movimento sionista rapidamente, su terre arabe, grazie a una legge ottomana che stabiliva che gli edifici eretti in una notte non richiedevano permessi e non potevano essere demoliti. «Il Libano è nostro!», recita il cartello lasciato dai coloni ai piedi della torre.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto

 

 

ph Friends123, CC0, via Wikimedia Commons



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