Caso Elmasry. Indagati Giorgia Meloni e i ministri Nordio e Piantedosi

Caso Elmasry. Indagati Giorgia Meloni e i ministri Nordio e Piantedosi

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La procura di Roma. Il governo era pronto a scaricare tutte le colpe sui giudici, ora però il caso andrà avanti

 

La denuncia è dell’avvocato Luigi Li Gotti, uno nato nel Msi, cresciuto in An, poi transitato nell’Italia dei Valori di Di Pietro e adesso tra i difensori dei naufraghi di Cutro. Il procuratore invece è Francesco Lo Voi, iscritto a Magistratura indipendente, la corrente di destra delle toghe. Èda questo incontro che è nata la «comunicazione di nel registro delle notizie di reato» per la premier Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano e i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi. I reati di cui si parla sono favoreggiamento personale e peculato, entrambi in concorso, per la scarcerazione e l’espulsione dall’Italia del capo della polizia giudiziaria libica Osama Elmasry, ricercato dalla Corte penale internazionale.

TECNICAMENTE non si tratta di un avviso di garanzia: la procura non sta (ancora) chiedendo di effettuare accertamenti su mezzo governo, ma si attiene al secondo comma dell’articolo 6 della legge numero 1 del 1989, secondo il quale, «omessa ogni indagine», il procuratore, entro 15 giorni dalla denuncia, trasmette tutto al tribunale dei ministri e ne dà comunicazione ai soggetti interessati perché possano presentare memorie o chiedere di essere ascoltati. Sulla questione di diritto è intervenuta anche l’Anm, che parla di «atto dovuto» sulla base dell’articolo 1 della stessa legge, che parla di «rapporti, referti e denunzie» sui reati commessi da premier e ministri nell’esercizio delle loro funzioni. Tutto giusto, ma Lo Voi nel suo atto questo comma non lo cita, perché l’atto era dovuto solo fino a un certo punto: la procura avrebbe potuto archiviare la denuncia di Li Gotti in autonomia senza dover far partire alcuna procedura formale. Ci sarebbe a questo proposito la famosa circolare fatta nel 2017 dall’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone contro le «iscrizioni frettolose», seguito della riforma penale dello stesso anno che attribuisce al pm «l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato», ponendo di fatto fine al «mito» dell’atto dovuto.

LA DECISIONE di mettere in moto la macchina del tribunale dei ministri, dunque, denota una certa volontà di far sentire la voce della giurisdizione anche nell’affaire Elmasry. Come già in parte detto da Meloni in persona sabato pomeriggio – e come avrebbero detto Nordio e Piantedosi nell’informativa al Parlamento che non faranno questo pomeriggio – la linea del governo è di addebitare tutto il caso all’esclusiva responsabilità della Corte d’appello di Roma, che in autonomia avrebbe deciso di scarcerare il boia libico a causa del suo «arresto irrituale», cioè effettuato senza allertare preventivamente il ministero della Giustizia. Come dire: è tutta una storia di tribunali, l’esecutivo non c’entra niente e non ha risposto alle richieste fatte dal procuratore generale della Corte d’appello in ossequio al principio della separazione dei poteri.

UNA SCUSA da azzeccagarbugli, in tutta evidenza, ma anche un buon modo per lavarsi le mani della questione senza complicarsi ulteriormente la vita. Adesso, con la mossa della procura, lasciar cadere il caso sarà impossibile o, se non altro, molto più complicato di quanto preventivato da Meloni. Difficile che la denuncia di Li Gotti avrà lunga vita in termini giudiziari, ma a questo punto la storia è destinata ad andare avanti per tutti i passaggi formali che arriveranno. Il tribunale dei ministri, infatti, ha adesso 90 giorni per effettuare le indagini e decidere se archiviare o procedere e inviare il fascicolo in procura.

* Fonte/autore: Mario Di Vito, il manifesto



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