by Chiara Cruciati * | 7 Gennaio 2025 10:22
Il militare scampato all’arresto in Brasile non è l’unico: l’organizzazione ha raccolto 8mila documenti che individuano i responsabili degli atti di genocidio. Esercito e giornali israeliani pubblicano i vademecum per chi ha commesso crimini di guerra
La Hind Rajab Foundation[1] ha pochi mesi di vita ma un archivio imponente: è quello visibile sotto la voce «Perpetrators» del suo sito web. Centinaia di soldati israeliani (erano già mille a inizio ottobre 2024) responsabili di crimini di guerra contro la popolazione civile palestinese di Gaza e che la fondazione chiede di indagare.
A sostegno delle accuse, la Hind Rajab Foundation – intitolata alla memoria della piccola gazawi di cinque anni uccisa dall’esercito israeliano mentre, bloccata in auto, chiedeva aiuto al telefono alla sua mamma – ha raccolto oltre 8mila documenti, foto, video, rapporti forensi, registrazioni audio e post sui social media. Molte delle prove le hanno fornite gli stessi ufficiali e soldati che pubblicano online i crimini commessi. Tra loro qualche decina di cittadini stranieri o israeliani con doppia cittadinanza.
IL MATERIALE raccolto viene regolarmente consegnato alla Corte penale internazionale, che giudica gli individui. Tra i crimini commessi: distruzione di infrastrutture civili, saccheggio, uso di tattiche disumane contro i civili, omicidi mirati di civili. I casi sono segnalati anche ai paesi di origine dei soldati e a quelli in cui i militari vanno in vacanza.
È il caso, emerso domenica ma risalente al 3 gennaio, del soldato israeliano per cui una corte brasiliana – sulla base delle segnalazioni della fondazione belga e di 500 pagine di prove – ha chiesto l’arresto perché sospettato di crimini di guerra, nello specifico della distruzione indiscriminata di abitazioni civili. Si è salvato in extremis: le autorità israeliane, venute a conoscenza dell’arresto imminente, lo hanno rintracciato. È salito sul primo volo disponibile.
Nessun arresto, dunque, ma la Hind Rajab Foundation segna una vittoria: «Questo è un momento storico – commenta il presidente Dyab Abou Jahjah – Segna un precedente potente affinché le nazioni intraprendano azioni coraggiose per ritenere responsabili gli autori di crimini di guerra».
Che sia un precedente importante lo si coglie dalle reazioni a Tel Aviv: l’esercito ha subito emanato raccomandazioni ai soldati perché prestino maggiore attenzione nei viaggi all’estero e perché evitino di pubblicare sui social media le prove indiscutibili dei crimini commessi.
DA DOMENICA i quotidiani e i siti di informazioni israeliani pubblicano vademecum a firma di esperti di diritto, con le dritte per non farsi arrestare. Spiegano il significato di «giurisdizione universale» che permette anche a paesi stranieri di perseguire crimini di guerra e contro l’umanità, smontando l’impressione di impunità che aleggia tra le forze armate israeliane.
Dopotutto non è la prima volta: in passato più di un ex ministro israeliano (tra cui l’attuale «eroe» liberale Moshe Ya’alon) dissero di evitare viaggi all’estero per timore di finire in manette. Non aiutano di certo i recenti mandati d’arresto emessi dalla Corte penale contro il premier Netanyahu e l’ex ministro della difesa Gallant, né la decisione della Corte internazionale di Giustizia che un anno fa ha definito quello in corso a Gaza «genocidio plausibile».
* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto[2]
ph Hind Rajab Foundation
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