La guerra ai migranti e la regola del disumano

Difficile trovare un paese in cui a sparare sull’immigrazione non si guadagnino voti. La nostra “premier forte” lo è con i disperati, non con trafficanti e torturatori
«Io non sono ricattabile», concluse la “premier forte”, mentre i corifei del governo, disseminati nei talk show, invocavano la ragion di stato a giustificare la scarcerazione e il comodo volo per Tripoli di chi a Tripoli ha conquistato la fama di torturatore-in-capo. La grande realpolitik degradata ad impunità per i seviziatori. A nessuno sfugge quanto gravi siano le accuse e le testimonianze, né l’ampiezza degli affari del capomilizia in questione. Evocato il sacrificio delle procedure sull’altare della sicurezza nazionale, ecco gli stessi commentatori invocare garantismo e presunzione di innocenza. La macchina della tortura in Libia continua macinare corpi, mentre Meloni che doveva dar la caccia ai trafficanti per tutto l’orbe terracqueo denuncia i giudici internazionali e quelli domestici. Rinchiudiamo i disperati incappati nelle reti e caliamo silenzi sui pesci grossi capitati a tiro.
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L’indugio del ministro Nordio trasmette un messaggio che va oltre il caso specifico, imponendo uno spazio di discrezionalità dell’esecutivo che non è previsto dalla stessa legge italiana che recepisce il Trattato di Roma. È un messaggio agli organi giudiziari che si occupano di diritti umani. Poi arriva il grottesco capolavoro del ministro Piantedosi, che espelle il capobanda in quanto pericoloso, rimettendolo al comando esatto del mondo di violenze e abusi che lo ha reso tale. Come se fosse pericoloso per la Nazione, per essersi recato allo stadio a vedere Juventus-Milan.
Siamo talmente forti e prestigiosi che ci siamo tolti il cappello davanti a chi è accusato di ogni efferatezza su adulti e bambini. Del resto, il costo del calo degli sbarchi registrato lo scorso anno non è un mistero. Secondo il rapporto State trafficking (Tratta di stato) che Border forensics, No border e Asgi hanno presentato a Bruxelles, le bande libiche si riforniscono di migranti (l’oro nero) in Tunisia. Il prezzo si aggira sulla dozzina di euro a persona. I ricercatori gettano luce su «un’orribile catena logistica di abusi e sfruttamento, resa possibile dagli accordi tra l’Ue e la Tunisia»: polizie e soldati tunisini radunano i migranti nelle città costiere, per poi spedirli verso il confine libico su bus, talvolta ammanettati, talvolta abusati sessualmente. Il prezzo delle donne, potenziali schiave, sale fino a 120 euro. In Libia si passa ad ancor più squallidi centri di detenzione nel deserto, dove i rapitori abusano dei migranti e contattano le famiglie chiedendo un riscatto. Il rapporto cita la prigione di al Assah, controllata dalla Guardia di frontiera libica, e beneficiaria dell’assistenza Ue.
Difficile trovare un paese in cui a sparare sull’immigrazione non si guadagnino voti. I meccanismi di respingimento immediato (evitare l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria), così come quelle di rimpatrio facile, si diffondono attraverso misure che sono solitamente adottate in via temporanea (o ristrette a circostanze particolari) ma che non vengono più smantellate. Ci parla di questo il voto che in Germania ha accomunato Cdu e Afd nell’imminenza delle elezioni. I primi confinamenti di massa furono in Australia. Da allora, una lunga genealogia, che passa per l’Ungheria, e arriva fino al confine fra Carelia finlandese e Carelia russa.
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Pugno duro con lo «straniero». In Francia passa la linea LePen
Già sotto Biden abbiamo visto i bambini migranti nelle gabbie, strappati all’abbraccio dei genitori. Poi Elon Musk – il miliardario che attacca la magistratura italiana sui migranti in Albania – in posa da safari umano, sul confine del Texas. In questi giorni, la neo-ministra Usa Kristi Noam, munita di Rolex e giubbotto antiproiettile, si è fatta fotografare nel bel mezzo dei raid contro i «criminali immigrati». Nelle stesse ore, rimbalzava sui media la notizia, poi smentita, dell’intenzione di Donald Trump di deportare palestinesi da Gaza all’Albania. Del resto, Trump ha parlato di ripulire (clean out) Gaza, e il genero Jared Kushner ha mire immobiliari in entrambi i territori. Infine, ecco l’annuncio dell’ampliamento nientemeno che di Guantanamo, da destinarsi agli aliens da deportare. La parola alieno, con la quale è designato lo straniero, già da sola allontana da una grammatica umana. Dovrebbe ricordarci quando il crimine organizzato in America veniva ridotto ad alien conspiracy: gli scuri immigrati italiani contro i civilissimi cittadini di ceppo anglo-germanico. Ma il senso della storia latita, e così meglio lasciarci rasserenare da Federico Rampini che spiega come sia opportuno tradurre «la più grande deportation della storia degli Usa» con il termine «rimpatrio». Arrivano le immagini dei latinos rastrellati e rapidamente incolonnati verso gli aerei, con le catene a mani e piedi, ma non si usino parole che allarmano.
Una parte significativa di opinione pubblica pare rassegnata davanti a quella che viene presentata come la nuda realtà (il realismo, la realpolitik, eccetera) e ormai rifiuta di informarsi. Parecchi si girano dall’altra parte. Come lasciò scritto alle figlie Luca Rastello, «quasi sempre quella che si presenta come la vita com’è, secondo un’espressione cara ai realisti (gente che in segreto ama la schiavitù), è una truffa». Questo amore è sempre meno segreto, il disumano sembra pagare. La prima domanda che andrebbe posta alla premier, perché possa mostrarsi forte anche con gli strongmen è che cosa stiamo facendo perché si chiudano quei posti che il Papa chiama i lager libici.
* Fonte/autore: Francesco Strazzari, il manifesto
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