Libia. Dietro la liberazione di Elmasry, fazioni in lotta per il controllo di petrolio e migranti

Gli alleati di Italia e Ue che Roma ha voluto tutelare liberando Elmasry, capo della polizia penitenziaria di Tripoli e membro della Forza Rada
Lo scorso 16 gennaio la missione delle Nazioni Unite in Libia (Unmil) ha chiesto un’indagine urgente sulle «segnalazioni di abusi e torture ai danni dei detenuti nelle carceri libiche». La richiesta è arrivata dopo le foto e i video pubblicati sui social, con centinaia di casi di «detenuti maltrattati e picchiati da uomini in uniforme».
Un allarme lanciato da diversi anni anche dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che, già lo scorso marzo 2023, aveva indicato una situazione che rimane «del tutto inaccettabile in termini di violazioni dei diritti dei migranti, con oltre 10mila persone detenute illegalmente, torturate e, in molti casi, scomparse nei centri di detenzione libici».
Una «prassi istituzionalizzata» che avviene indistintamente in tutti i centri di detenzioni: sia quelli gestiti dal Governo di unità nazionale (Gnu) – attualmente guidato del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah riconosciuto a livello internazionale dall’Onu con sede a Tripoli (ovest) – che dal Governo di stabilità nazionale (Gns), guidato dal primo ministro Osama Hammad e sostenuto militarmente dall’Esercito nazionale libico (Lna), sotto il comando del maresciallo Haftar. Riguardo alla situazione interna, lo stallo e le divisioni politiche rimangono una costante, nonostante le «rassicurazioni da parte di entrambe i governi». Sin dalla sua divisione nel 2014 – dopo la caduta di Muammar Gheddafi – la Libia è rimasta impantanata in crisi politiche e conflitti armati, aggravati dal fallimento delle elezioni del 2021.
Le delegazioni dei due schieramenti si sono incontrate a fine dicembre a Bouznika, in Marocco, per «organizzare nuove elezioni libere e democratiche», sotto la supervisione dell’Onu. Un incontro organizzato da Stephanie Koury, nuova rappresentante speciale aggiunta delle Nazioni Unite per la Libia, nominata dopo le dimissioni di Abdoulaye Bathily, lo scorso aprile 2024. Bathily, esperto diplomatico senegalese, aveva giustificato la propria rinuncia proprio a causa dell’impossibilità per l’Onu di «agire con successo» per sostenere il processo politico, di fronte a leader che mettono «i loro interessi personali al di sopra dei bisogni del popolo libico».
Nella realtà dei fatti entrambi i contendenti, non avendo legittimità democratica, cercano di mantenere lo status quo delle cose, visto che le loro alleanze politiche sono interessate principalmente a ottenere posizioni di potere nel governo e nelle forze di sicurezza, a controllare l’immigrazione clandestina e le infrastrutture energetiche, che rappresentano il 98% delle entrate pubbliche. Se le autorità di Tripoli controllano la compagnia petrolifera nazionale, la National oil corporation (Noc) e la Banca centrale, riscuotendo quindi i proventi della produzione di idrocarburi, le forze di Haftar controllano l’intera “mezzaluna del petrolio” nell’est del paese e la maggior parte dei porti petroliferi della Libia. Dopo un lungo periodo di insicurezza, violenze fratricide e divisioni, i due schieramenti sono giunti, nel 2022, a un accordo e alla totale ripresa della produzione ed esportazione di petrolio, con un’ormai certa divisione dei guadagni.
Altrettanto importante rimane per i due governi la «gestione» dei centri di detenzione per gli immigrati o i finanziamenti milionari ottenuti dall’Unione europea e dall’Italia con l’obiettivo di «contenere e limitare» il flusso migratorio verso l’Europa. Detenzioni arbitrarie, lavori forzati, estorsioni, tratta di esseri umani. In Libia, i migranti sono al centro di un business ben oliato, orchestrato dalle milizie – come nel caso di Elmasry, capo della polizia penitenziaria di Tripoli e membro della Forza Rada – sotto la copertura dell’azione governativa. Il «modello di business» è semplice: i leader delle milizie raccolgono denaro per gestire i centri di detenzione e impedire ai migranti di salpare per l’Europa e aumentano i loro guadagni commerciando sulla libertà degli immigrati.
* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto
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