Memoria e presente. L’unicità della Shoah e il ritorno dell’odio che l’ha prodotta

Vi è un nesso tra l’immagine della marea umana che sciama disorientata tra le rovine di Gaza e il gruppetto di migranti in catene caricati nella stiva di un aereo per essere espulsi dagli Stati uniti di Trump. A essere raffigurate, in entrambi i casi, sono persone che non hanno più posto
«Ritrovate l’orgoglio di essere tedeschi!». Adesso basta! «Non è giusto che i nipoti paghino le colpe dei nonni». Questo il messaggio che l’onnipresente Elon Musk, ben sapendo quali corde toccare, ha indirizzato alla manifestazione di apertura della campagna elettorale dell’Afd, il partito nazionalista e xenofobo in grande crescita nella Repubblica federale. Un partito nel quale circola apertamente una gran voglia di revisionismo storico con tonalità negazioniste, un riciclo strisciante di concetti e linguaggi nazisti e un’esplicita rivendicazione di restaurazione della «grandezza germanica» finalmente emancipata dalla memoria del regime hitleriano e dei suoi orrori, nonché dagli insegnamenti di prudenza e responsabilità che si dovrebbe continuare a trarne. Insegnamenti che riguardano il rispetto dei diritti di tutti e la protezione di chiunque sia vittima di sterminio, persecuzione e sopruso.
La destra tedesca da tempo ritiene invece di aver saldato il conto della Germania con gli ebrei e con il mondo, giurando fedeltà allo stato di Israele e avallando incondizionatamente le sue azioni e le sue politiche. E proprio a questo patto assolutorio viene sovente piegata quella unicità della Shoah che dobbiamo certo riconoscere, almeno per quello che concerne la storia moderna dell’occidente, ma non contrapporre al messaggio universale che contiene.
E che impegna tutti, israeliani compresi, non solo a scongiurare il ripetersi di tanto orrore, ma anche il riaffiorare di alcuni dei suoi immancabili ingredienti: dall’idea di purezza etnica e culturale al suprematismo, al disprezzo per l’altro.
Questi veleni circolano abbondantemente oltre che tra le formazioni nazionaliste europee e statunitensi, nella destra messianica israeliana e nella politica guerrafondaia di Netanyahu, dove si traducono su scala fuori misura in distruzione e morte.
Vi è un nesso, anche se non proprio una identità, tra l’immagine impressionante della marea umana che sciama disorientata tra le rovine di Gaza lungo la riva del mare e il gruppetto di migranti in catene caricati nella stiva di un aereo per essere espulsi dagli Stati uniti di Donald Trump.
A essere raffigurate, in entrambi i casi, sono persone che non hanno più posto, negate nella loro umanità e ridotte a rappresentare una zavorra o una minaccia. Un’eccedenza, un puro e semplice ostacolo al quieto vivere di quella normalità arrogante, indifferente e feroce che si sogna omogenea. Lo gridano quelli dell’Afd, invocando deportazioni di massa chiamate con l’ipocrita neologismo di «remigrazione», lo sbraita il leader dei democristiani tedeschi che ne rincorre i sentimenti xenofobi. Mentre Trump propone, tra gli applausi della destra coloniale israeliana, di svuotare Gaza dall’ingombrante umanità che la abita per trasformarla in elegante località balneare di Israele.
Non è allora sufficiente ribadire – nella giornata che le abbiamo dedicato – la memoria monumentale dell’olocausto nella sua unicità integrale ed estrema.
Sono anche i diversi elementi che vi hanno condotto e che tornano a seminare odio e sopraffazione in chiave antisemita, ma non di meno contro i palestinesi e i migranti, che non possiamo permetterci di perdere di vista.
* Fonte/autore: Marco Bascetta, il manifesto
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