Torture nei centri libici: «Ricordo bene Elmasry, ci picchiava con un bastone a Mitiga»

La testimonianza di chi ha subito le torture: «Avrei potuto testimoniare in un processo, ma è stato liberato. È l’ennesima ferita»
«L’ho visto, più volte. Sia ad Al Jadida che a Mitiga, sono stato in entrambi i posti per più mesi. Appena sono arrivato aveva un grande bastone, e ha cominciato a colpirci con quello». Lo racconta una delle persone che Osama Najeen, noto come Elmasry, «l’egiziano», lo ha visto da vicino in Libia, dopo essere stato catturato dalla guardia costiera libica e detenuto nelle prigioni dove migranti e libici vengono quotidianamente torturati. Specialmente a Mitiga, base militare e centro di comando degli uomini di Elmasry, gli uomini vengono costretti ai lavori forzati.
«ELMASRY È UN CRIMINALE a capo di un’organizzazione criminale, e i primi a temerlo sono i cittadini libici oltre che i migranti, che vengono imprigionati senza la possibilità di alcun processo, con accuse talvolta infondate e non potendosi difendere» prosegue l’uomo, che chiede di rimanere anonimo per motivi di sicurezza. Al Jadida ufficialmente è una prigione di riabilitazione destinata a persone che hanno commesso i reati più gravi. Le torture nei centri di detenzione libici sono testimoniate da chi riesce a uscirne, spesso dietro il pagamento di grandi somme di denaro, e proseguono anche mentre viene liberato e rimpatriato.
IERI SU X, mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi giustificava il rimpatrio di Elmasry, parlando di «pericolo per lo Stato», Refugees in Lybia, l’associazione che riunisce migranti e richiedenti asilo passati per la Libia, pubblicava un video in cui vengono mostrate le torture quotidiane nelle carceri libiche. Nelle immagini, una ragazza etiope diciassettenne, Rahma Abdo, viene colpita ripetutamente con un bastone, mentre è legata mani e piedi e incapace di reagire. «È stata catturata a Kufra (nel deserto libico, ndr) ad aprile 2024. Ogni giorno viene stuprata» si legge. Per la sua liberazione, gli aguzzini, di cui Elmasry è a capo, chiedono un milione e mezzo di birr etiopi, circa 11mila euro. In un altro video due carcerieri torturano un uomo. Sdraiato nudo a terra con un fucile puntato, mentre uno degli aguzzini lascia cadere sul suo corpo materiale infiammato. L’uomo si dimena e ripete solo «halas», «basta».
IL NOME DI ELMASRY è noto ovunque nei paesi di partenza, ed è «l’uomo più temuto di tutta la Libia» spiega. «Non appena ho saputo del suo arresto ho avvertito degli amici in Sudan, che non potevano crederci. Era l’opportunità di poterlo giudicare davanti a una corte per i crimini che ha commesso, il contrario di quanto avviene nelle sue carceri. Ora questa possibilità è semplicemente sfumata». A regnare il giorno dopo la liberazione del miliziano, festeggiato al suo arrivo all’aeroporto di Mitiga, è la rabbia e lo sconforto. «Non posso avere giustizia, dopo quello che mi ha inflitto fisicamente e psicologicamente, ed è l’ennesima ferita. Fosse ancora qui le mie dichiarazioni potrebbero servire da testimonianza in un processo, ma non sarà così, è tornato a commettere i suoi crimini».
* Fonte/autore: Michele Gambirasi, il manifesto
Related Articles
Il cammino verso un altro Iran. Donna, vita, libertà
Un anno fa la morte in custodia della polizia di Mahsa Amini: indossava male il velo. Nasceva il primo movimento guidato da donne in un paese islamico. Il regime si prepara all’anniversario con arresti e minacce
Sea-Watch: «Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore»
Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea-Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio del 6 novembre 2017
Iran. Condannata a 38 anni di carcere e 148 frustate Nasrin, l’avvocata delle donne
Condannata da Raisi, il «boia» iraniano degli anni ’80, con la benedizione di Ali Khamenei. Sotoudeh è da anni in prima linea contro l’obbligo del velo e la pena di morte