Il Tribunale permanente dei popoli per il Rojava

Si è svolta a Bruxelles il 5 e 6 febbraio 2025 la 54ª sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sulla responsabilità della Turchia per i crimini commessi nel Rojava
Si è svolta a Bruxelles il 5 e 6 febbraio 2025 la 54ª sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sulla responsabilità della Turchia per i crimini commessi nel Rojava, regione curda facente parte dell’Amministrazione democratica autonoma del Sud est della Siria, dal 2018 ad oggi (qui, nella traduzione italiana, la dichiarazione finale del Tribunale, nella quale, si dà atto che «il modello di attacchi contro civili, sfollamenti forzati, distruzione di infrastrutture vitali, e persecuzione sistematica dei curdi indica chiaramente crimini di guerra, crimini contro l’umanità e persino genocidio» e si ritiene provata la responsabilità degli imputati).
La contestazione rivolta al Presidente Recep Tayyip Erdogan e ad altri vertici politici e militari, riguardava la responsabilità per il crimine di aggressione per crimini di guerra e per crimini contro l’umanità. Nei due giorni del dibattimento sono state raccolte le prove di una sequenza impressionante di brutalità: bombardamenti su scuole, su strutture sanitarie ed energetiche, trasferimenti forzati di popolazione, omicidi mirati, arresti arbitrari, torture, femminicidi, stupri. Attraverso le due udienze pubbliche, che si sono svolte presso la libera università di Bruxelles, il Tribunale Permanente dei Popoli ha preso in carico e ha dato visibilità internazionale alle gravi e terribili violazioni dei diritti umani commesse nella Regione a danno del popolo curdo, troppo spesso nascoste sotto la coltre dell’ intollerabile silenzio connivente che permea le relazioni dell’Europa con il governo turco. A Bruxelles è stata costruita una tribuna per dire la verità contro l’impunità.
Il Collegio dell’accusa ha raccolto da diverse fonti, una messe di prove documentali e di testimonianze che raccontano che dal 2018 in Rojava è in atto un sistematico e pervicace tentativo di sradicare il popolo curdo dalla propria terra, di distruggerne non solo la vita ma l’identità, la cultura, l’economia, costringendo migliaia di persone a fuggire. Con l’occupazione della città di Afrin è stata posta in essere una politica di ingegneria etnica con la sostituzione dei curdi, residenti nell’area, con popolazioni arabe sunnite e turcomanne, spesso a propria volta profughi a causa della guerra civile. Con la conseguenza che ad Afrin la popolazione curda è passata da oltre il 90% al 25% e il numero di sfollati dal Rojava è stimato in 300.000 persone.
Nel corso delle udienze sono state ascoltate testimonianze terribili (compresi documenti video) di attacchi indiscriminati su civili, come per esempio a Tel Rifaat nel dicembre 2019, in cui sono morti otto bambini che giocavano nel cortile di una scuola, oltre a numerosi altri feriti. Sono emerse prove evidenti della distruzione attraverso bombardamenti deliberati da parte della Turchia di risorse vitali, come le infrastrutture per l’elettricità, il gas, il petrolio, che hanno portato alla mancanza di combustibile e di acqua pulita con danni ambientali e alla salute dei civili nei villaggi, nei campi profughi, negli ospedali.
Particolarmente doloroso è stato il capitolo dei femminicidi. Il 12 ottobre del 2019 è stata assassinata da una banda di miliziani sostenuti dalla Turchia la dirigente politica Curda Hevrin Khalaf, 35 anni, segretaria generale e co-fondatrice del partito Siriano del futuro. In aula è stato proiettato un video girato dai suoi stessi assassini, in cui si odono le grida di scherno degli aguzzini che profanano il suo cadavere. Quindi sono state ascoltate le testimonianze coraggiose e drammatiche di alcune donne vittime degli stupri compiuti nelle prigioni di Afrin. Il ricorso ai femminicidi e allo stupro da parte dei militari turchi e delle milizie controllate dalla Turchia si profila come un tentativo deliberato di colpire attraverso i corpi delle donne uno degli assi portanti della rivoluzione del Rojava, e cioè la loro emancipazione e il ruolo politico centrale nell’attuazione del Confederalismo democratico.
Il bersaglio politico delle aggressioni della Turchia, effettuate direttamente attraverso i bombardamenti e indirettamente attraverso le milizie filoturche della SNA (Armata nazionale siriana), è l’Amministrazione Democratica Autonoma della Siria del Nord-Est (DAANES), un’esperienza di autogoverno democratico che realizza la convivenza pacifica di tutte le etnie presenti nel Nord est della Siria (curdi, yazidi, sunniti, sciiti), garantendo il pluralismo e promuovendo l’uguaglianza e il ruolo politico delle donne. Una autonomia che il popolo curdo ha conquistato a duro prezzo, nel corso della guerra civile, liberando la regione dall’ISIS attraverso una lotta portata avanti dalle milizie Ypg e Ypj (queste ultime composte da donne).
Il cambiamento del regime politico a Damasco non ha posto termine alle aggressioni della Turchia che nel mese di gennaio ha compiuto nuovi attacchi con droni provocando decine di morti. Il nuovo Governo siriano non ha formulato alcuna protesta per questa violazione della sua sovranità. Ciò rende molto incerto il futuro della regione in questa fase di transizione politica. Per questo è importante che la Comunità internazionale riconosca il valore dell’Amministrazione autonoma (DAANES) condizionando i rapporti con il nuovo Governo siriano al rispetto dell’autonomia di questa regione così come si è storicamente determinata.
* Fonte/autore: Domenico Gallo e Gianni Tognoni, Volerelaluna
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