La Siria in piazza contro l’espansionismo bellico israeliano: «Fuori dal nostro paese»

La Siria in piazza contro l’espansionismo bellico israeliano: «Fuori dal nostro paese»

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A Damasco e in altre città i siriani hanno affermato il rifiuto dell’occupazione e delle intimazioni lanciate da Netanyahu

Perché Benyamin Netanyahu flette i muscoli, intima il disarmo in tutto il sud della Siria ed esclude un possibile dialogo con i nuovi governanti di Damasco? L’interrogativo è legittimo, mentre migliaia di siriani, da Damasco a Suweida, protestano contro l’occupazione israeliana del territorio siriano, che ora è ben oltre le Alture del Golan, e respingono le condizioni poste nei giorni scorsi dal premier dello Stato ebraico. Il no di Israele a contatti con Damasco è motivato ufficialmente con le origini jihadiste del gruppo Hts che ha preso il potere a dicembre.

Appare però poco comprensibile se si considera che, dopo la fine del potere del presidente Bashar Assad, il leader di Hts Ahmad Al Shaara (noto fino allo scorso anno come Abu Mohammad Al Julani), nominato da poco presidente ad interim, non ha fatto dichiarazioni ostili a Israele, nonostante le centinaia di raid aerei di Tel Aviv contro ciò che restava delle forze armate siriane. E altri esponenti delle nuove autorità, come il governatore di Damasco, non hanno alzato muri contro eventuali rapporti con Israele. Senza dimenticare che i nuovi governanti siriani sono avversari dell’Iran e di Hezbollah, come lo è Israele. E che durante la guerra in Siria scoppiata dopo il 2011, gruppi jihadisti hanno avuto contatti e ricevuto aiuti umanitari dalle forze armate israeliane nel Golan, come ha riferito in passato la stessa stampa in lingua ebraica.

La risposta a tutto questo in realtà è semplice. A Benyamin Netanyahu e ai suoi ministri non interessa dialogare con la nuova Siria. Piuttosto puntano a continuare l’occupazione delle alture del Golan, espandendola ulteriormente. Pertanto, non verranno mossi passi in futuro da Washington e Tel Aviv per includere la Siria negli Accordi di Abramo, perché Damasco in cambio del trattato di pace chiederebbe con ogni probabilità la restituzione del Golan. È ciò che vogliono i cittadini siriani, con Assad e senza Assad.

Il «Golan è siriano», «Israele fuori dalla Siria», «La Siria è della Siria» hanno scandito a migliaia lunedì a Deraa e Quneitra, poi ieri in piazza Al Karama della città drusa di Suweida, a Busra al-Sham, Atman, Nawa e Dael. E altrettanto hanno fatto a Damasco, Latakiya e Homs. A Suweida e nelle altre località a maggioranza drusa nella Siria meridionale hanno issato cartelli con la scritta «Non abbiamo bisogno della tua protezione», in risposta a Netanyahu che, dettando le sue condizioni nel sud della Siria, si è autoproclamato «protettore» dei drusi. I residenti di Jabal al Druze affermano di essere cittadini siriani come tutti gli altri e di «non avere bisogno di tutele», da parte di forze esterne.

Ahmad Kiwan, uno degli organizzatori delle proteste a Quneitra, rispondendo alle domande del magazine online Enab Baladi, ha invocato «l’unità siriana» per affrontare le minacce regionali e «le incursioni delle forze di occupazione». Kiwan ha chiesto il ritorno di Israele alle linee di disimpegno del 1974. Lo Stato ebraico non ha mancato di farsi sentire. Come avvenuto domenica scorsa, quando gli F-16 hanno sorvolato Beirut durante i funerali del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nei passati due giorni, gli aerei israeliani sono entrati più volte nello spazio aereo siriano. E continuano a colpire siti appartenenti all’esercito del paese arabo, sostenendo di distruggerli per impedire che cadano nelle mani di estremisti. L’ultimo attacco è avvenuto il 19 febbraio e ha preso di mira siti nell’area di Sasa, nella campagna di Damasco. Israele intende rimanere indefinitamente nella Siria meridionale dove ha già cominciato la costruzione di basi e postazioni militari.

La mobilitazione contro l’occupazione israeliana giunge mentre crescenti tensioni segnano il dibattito interno siriano in un complesso post-Assad in cui restano avvolte nella nebbia le volontà di Hts e dei suoi alleati sui temi della democrazia e dei diritti delle minoranze. Ieri l’amministrazione autonoma curda ha comunicato di non sentirsi legata dalle decisioni della Conferenza per il dialogo nazionale in corso a Damasco che ha sancito la messa al bando di tutte le milizie all’infuori dell’esercito nazionale in fase di riorganizzazione. I 35 partiti curdi nel Rojava hanno condannato la rappresentanza «simbolica» dei gruppi minoritari alla riunione a Damasco. Una maggiore autonomia invocano anche le comunità druse nel sud. Alla conferenza partecipano circa quattromila persone, invitate dalla Commissione preparatoria per il dialogo nazionale composta da sette membri, tra cui due donne. Per i media siriani, la riunione è un primo passo verso la scrittura della nuova Costituzione. Che però potrebbe richiedere anni, così come la convocazione di elezioni politiche, ha precisato nelle scorse settimane Ahmad Al Sharaa, generando preoccupazioni dentro e fuori dalla Siria.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto



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